Ritorno alle valli e a bellezze trascurate, riscoperta di emozioni e ritmi nuovi ritenuti superflui o dimenticati: è il trend che sta spingendo il nostro settore turistico verso un futuro diverso. Stranamente però è lo stesso che da alcuni mesi alimenta anche un intrigante fenomeno letterario. Il mio è un raffronto solo abbozzato, forse anche azzardato. Mi è venuto in mente quando cugini in visita in Ticino mi dicono il titolo tedesco del romanzo di uno scrittore ticinese, letto in questi mesi di clausura. Quando i miei «mi spiace, non lo conosco» stanno rasentando l’imbarazzo, un nome (Felice) presente nel titolo del romanzo tradotto in tedesco mi riporta prima a un bel documentario visto alla TSI, poi a recensioni di colleghi che sui media ticinesi consigliavano la lettura del libro.
Tra questi ricordo Natascha Fioretti che in febbraio su «Illustrazione Ticinese» ha scritto: «Se avete voglia di un libro che vi ricordi i ritmi lenti e umani della vita quotidiana, vi racconti di luoghi, paesi e monti ticinesi, un libro di sentimenti ed emozioni delicate, profondo nello sguardo e schietto nella lingua perché è quella parlata, allora La pozza del Felice (Rubettino) di Fabio Andina fa al caso vostro». Inviti sempre disattesi e di conseguenza arrivo a parlare del romanzo solo adesso, vale a dire dopo che la traduzione ne ha decretato negli ultimi mesi un forte interesse e maggior successo nella Svizzera tedesca e in Germania: sulla rivista «Der Spiegel» in un lungo servizio (con visita e intervista allo scrittore a Leontica, sua seconda dimora) si legge che «lo scrittore Andina (…) è riuscito a scrivere un romanzo meraviglioso», e che il libro è subito andato esaurito nelle librerie tedesche. Giusto quindi fare ammenda e arrivare a pensare che libro e autore meritino una più diffusa accoglienza anche da noi. Chi vorrà approfittarne (e ci sarò anch’io), oltre a cercare il romanzo in libreria potrà scrutare su fabioandina.com le date di un intenso giro di incontri autunnali che lo scrittore malcantonese ha in programma partendo da Altomonte in Calabria, toccando poi Zugo, Berna, Zurigo e persino l’Austria. Intercalate ci sono comunque anche serate a Curio e Stabio: il 19 settembre e il 7 ottobre.
Dicevo all’inizio che è strano trovare i contenuti che stanno decretando il successo di Fabio Andina anche alla base della tenuta del nostro turismo. È un po’ come se il flusso a cui l’autore ha affidato la trama del suo romanzo dopo qualche anno abbia consentito di acquistare velocità e di ritrovare una rotta anche alla navicella del turismo ticinese. A muovere queste correnti ci sono due spinte: il «ritorno in valle» e il «ritorno all’antica». La prima, riconducibile a visite, soggiorni, escursioni, circoscritti alla Svizzera italiana o al massimo in cantoni o regioni confinanti, ha caratterizzato il diverso modo di fare vacanza di moltissimi residenti, oltre che dei turisti ospiti da noi. La seconda ha invece favorito la riscoperta di nuovi e inaspettati equilibri: «fra cuore e cervello», come ha ben evidenziato Fabrizio Quadranti parlando del romanzo di Andina sulla rivista «Gas». A estate conclusa è incontestabile che le valli – complice non tanto la generale «morìa» di eventi nei centri, ma soprattutto il prolungato e costante riavvicinamento alla vita semplice, ai silenzi, al pensare lento – si sono rivelate fonti di salvezza anche per combattere l’asfissia del turismo. Inutile chiedersi se questo trend potrà garantire futuri sviluppi oppure se si rivelerà solo una sorta di by-pass temporaneo, perché la valorizzazione e le scelte di un futuro per le valli dipenderanno da centri di potere e da cittadini poco propensi a reinventarsi. Questo fa temere che anche i flussi nuovi del turismo tornino a scorrere nell’alveo di un consumismo che «è sempre più problema e sempre meno soluzione». Sto citando un poeta, Giovanni Lindo Ferretti, da anni impegnato a evitare che gli abitanti delle valli dei suoi Appennini diventino guardiani del paesaggio o figuranti di presepi, «mestieri di un’età che ha rigettato agricoltura e allevamento e si trova a dover accalappiare e foraggiare turisti». V’è da sperare che gli indirizzi futuri del turismo incontrino lo stesso «miracolo» che Fabio Andina ha confessato allo «Spiegel»: «Mi ero ripromesso di scrivere un romanzo duro ed estremamente asciutto sulla condizione del mondo. Ma il calore e la delicatezza di Felice hanno fatto in modo che alla fine sia stato pubblicato un libro del tutto diverso e più dolce».
Dimenticavo: l’incontro con gli amabili cugini lucernesi, combinato per riavvolgere il vissuto di mesi di lontananza e dare certezze a episodi e emozioni captati durante la pandemia, è avvenuto a Sagno, durante un ritorno in valle.