Uno Zibaldone tira l’altro

/ 16.12.2019
di Ovidio Biffi

Durante uno dei bei giorni di ottobre ho trascorso un pomeriggio a Lugano a bighellonare, cioè girando in centro in attesa prima di una visita medica e poi del bus. Le molte impressioni memorizzate iniziano da una prolungata, ma discreta osservazione di alcuni adolescenti alle prese con i loro smartphone per chissà quale intrattenimento o ricerca. Guardando quei ragazzi – appostati in un angolo di una piazza frequentatissima, circondati da un via vai continuo di passanti, assorti in «smanettate» e pensieri rotti di tanto in tanto da commenti e risate – la mente è andata all’ondata di critiche che di solito viene rivolta a queste moderne e pandemiche distrazioni elettroniche con cui i giovanissimi si isolano dal mondo circostante.

Riflettendo ho però ricordato che in fondo anche noi (quindi persone dell’era pre-digitale, cavernicoli di generazioni prima dei «millennials») cercavamo analoghi momenti di distrazione e di astrazione dal mondo degli adulti in cui vivevamo. Certo, le nostre evasioni non erano dominate da tecnologie (i «display» erano prati e boschi, «smart» era solo il «fulcin» tascabile) di riflesso le nostre «assenze» non destavano preoccupazioni ai genitori, almeno fintanto che non iniziarono a interrogarsi sulle troppe violenze fra cowboys e indiani o sui troppi cartoni animati, sulla «troppa televisione», cioè sulla tecnologia che avanzava. Ma noi – nati poco prima, o durante, o subito dopo l’ultima guerra – avevamo un grosso privilegio: venivamo da generazioni temprate dalle fatiche dei lavori più duri nel primario, nell’edilizia o in ferrovia, impegnate duramente prima ad affrancare i figli dall’emigrazione e dopo a garantire loro se non proprio comodità e lusso, perlomeno un crescente benessere. È un valore aggiunto che spesso rievoco per sottolineare che i giovani d’oggi devono affrontare un isolamento più duro perché a doppia mandata: anche se indifferenza e assenza degli adulti in apparenza possono sembrare le medesime, in realtà presentano una sostanziale e importante diversità rispetto alle generazioni passate. Un tempo genitori, nonni e docenti oltre a essere impegnati ad affrontare le dure condizioni della quotidianità, sapevano anche badare che la crescita dei giovani fosse comunque ancorata a principi ovviamente riconducibili alle virtù cardinali della religione (vogliamo ricordarle? Prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). Oggi invece a pesare sui giovani è spesso e soprattutto l’assenza e il vuoto di adulti sempre più accidiosi e incapaci di inculcare (non tanto a parole, ma soprattutto con i fatti) valori cardinali sul come orientarsi nella vita. Avrete ormai capito che non sono particolarmente attrezzato per proseguire a lungo questo tipo di discorso. Per questo concludo con questo ultimo importante pensiero: «I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto». Lo ha scritto Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone quasi due secoli fa, quindi senza immaginare che un giorno queste sue parole avrebbero toccato problemi e tormenti dovuti a isolamento e assenza di dialogo creati dalle moderne tecnologie di comunicazione.

Proseguendo il mio bighellonare in centro, dalla piazza arrivo a una piazzetta dove alcuni muratori sono alle prese con la costruzione di una fontana. Nulla a che vedere con le agognate fontane illuminate sul lungolago, ma pur sempre qualcosa di rilevante di questi tempi, al punto da meritarsi la solita bega politica. Attorno al cantiere il flusso dei pedoni è incanalato da reticolati con teloni con dati e informazioni che riguardano storia, etimologia e ordinamento del comune. Bell’idea. Passo sul lato opposto della strada e noto l’ennesimo segno dei «mala tempora currunt»: un nuovo (centesimo?) negozio di vestiti ha occupato il pianterreno dello stabile un tempo sede di una banca tornata oltre Gottardo. Resiste invece il ciabattino vicino e mi chiedo se – continuando il declino congiunturale – un giorno non sarà il «riciclaggio di scarpe» a conquistare anche i locali della ex-banca. Proprio in faccia, uno dei teloni del cantiere presenta dati demografici di Lugano mettendo in fila (vado a spanne: non ho osato farmi vedere a trascrivere le cifre esatte) le 25’000 persone sposate con le 24’000 che invece vivono da «single» per finire con 4000 tra vedovi e vedove! Mi chiedo come mai non si faccia cenno a bambini e giovani, cioè alle «persone» non in età di matrimonio? A casa trovo un ultimo accostamento in un altro Zibaldone, il IV, di Romano Amerio: «La piccola città è la vera struttura sociale in cui l’uomo può esercitare tutte le facoltà di comunicazione con gli altri uomini. Kant lo insegna espressamente. D’altronde quella Atene, da cui uscì la splendida civiltà, era al tempo di Socrate una comunità di cinquantamila cittadini». Insomma, i numeri ci sono. Vien da dire: ancora uno sforzo Lugano! E non solo per calcio e hockey!