Uno, cento, mille dei

/ 31.10.2022
di Cesare Poppi

Anche oggi sveglia prima dell’alba. Alì, l’amico factotum che mi ha fatto scoprire tanti preziosi dettagli della vita quassù nel Nord del Ghana, mi scuote: «Vieni, sono arrivati». «Fortuna» – mi dico mentre mi sciacquo col solo scopo di svegliarmi in un secchio d’acqua sfreddata dalle temperature notturne della stagione delle piogge – «Fortuna che i tempi quassù sono dilatati abbastanza per…». Così abbiamo il tempo per un caffè allungato all’impossibile per poterlo condividere con quanti hanno dormito nel cortile di casa (non si capirà mai come e quanti) e poi via di corsa verso il santuario dove Daabantolugu (Daaban per gli adepti) attende il tributo di sangue giornaliero.

«Santuario»: intendiamoci. Trattasi di un sgabuzzino di tre metri per tre senza finestre dove Daabantolugu è stato relegato quando il Nuovo Corso della sua carriera lo ha promosso da dio locale di famiglia a dio di rilevanza (perlomeno) nazionale e Dio volendo un giorno globale (come mi spiega Alì che si dice musulmano ma mantiene simpatie e ambizioni ecumeniche per la religione dei suoi antenati). Da divinità di un lignaggio nei villaggi più remoti del Ghana rimasti arroccati in una sorta di cittadella etnica e geografica assediata da Musulmani e Cristiani, Daaban è assurto negli ultimi cinquant’anni a star di fama nazionale. Passa parola, migrazioni, sentiti dire, aspirazioni deluse, desideri persistenti regolarmente frustrati dai Santi e dalle Sura di questo mondo, hanno fatto sì che a Sud del Sahara, ovvero Africa, la crescente richiesta di un benessere giocoforza incrementalmente demandato a un Intervento Divino mai pervenuto e frustrato da Islam e Cristianesimo, ha fatto sorgere il dubbio che mica sarà che, alla fine della fiera, le religioni dei nostri vecchi, famigerati e screditati Feticci non siano meglio – nel senso di più affidabili – che non Allah e il Dio dei Bianchi che ci hanno schiavizzato? Ci aggiungano gli affezionati, competenti lettori dell’Altropologo gli effetti della Globalizzazione e della risposta/reazione prima difensivamente identitaria e poi aggressivamente sovranista degli ultimi decenni e il gioco è fatto.

O così compendia il Vostro Altropologo preferito mentre si reca al santuario di Daaban per fare la sua parte. Noblesse oblige: ovvero, dacché sono l’Iniziato Anziano (Garanbunga) seniore della confraternita iniziatica che presiede al culto di Daaban, quando sono presente al villaggio tocca a me presiedere ai sacrifici. Trent’anni fa, agli esordi della sua carriera globale poi sovrana, Daaban era ospitato in un grande stanzone dove perlomeno i fetori del sangue sacrificale dei gallinacei e ovini sgozzati in sacrificio su suo simulacro – che altro non è se non una zucca/calabassa incrostata di sangue e penne sacrificali (risparmio ai lettori il parallelo con Halloween perché la cosa porterebbe troppo lontano), non ristagnavano. Da quando è diventato Nazionale c’è il timore che lo rubino. E dunque è stato relegato nello sgabuzzino della casa del capo operativo del culto (il mio iuniore al quale ho volentieri delegato il compito in absentia) dentro al quale entro al risveglio con una certa riluttanza sognando invece di farmi (questo il termine giusto) di cappuccino e brioche… Alle sei antemeridiane dei Tropici il bugigattolo/santuario di Daaban è già impaccato di anziani e iniziati… mi faccio largo a fatica per sedermi sulla poltrona – cinese – che mi farà da Cattedra Episcopale (poiché per par condicio di tale si tratta) e da lì recito le formule di consacrazione della povera pecora di turno.

Stamattina, mi informa Alì, sono due Deputati del Parlamento del Ghana che vengono a sacrificare a Daaban. Li guardo e consegno il coltello – come liturgico, al Sacrificatore. Mi rendo conto che questi è un giovinastro poco pratico in training che farà con tutta probabilità un macello. E difatti sbaglia la direzione del taglio e mi trovo schizzato dalla testa ai piedi di sangue dell’agnello mentre la congregazione inizia a inneggiarmi per essere di Daaban il Favorito Insanguinato.

A chi battono le mani!? Non ne posso più. Fatemi uscire: il fetore di sangue marcito e la vista di Anziani e Neofiti ubriachi di quella grappa locale che arriva sempre più, insieme a soldi e sacrifici, a dare il colpo di grazia a quanti – uno, cento, mille dei – non ce l’hanno fatta…