Un’eclissi tra le tante

/ 06.08.2018
di Franco Zambelloni

Lo scorso 27 luglio una grande Luna rossastra si è immersa a poco a poco nell’ombra di una spettacolare eclissi. Il fenomeno celeste, ampiamente preannunciato, ha costituito per molti uno spettacolo interessante; magari non coinvolgente come gli eventi estivi di piazza, ma almeno un gratuito dono del cielo.

Per millenni, quando ancora non se ne aveva una spiegazione scientifica, le eclissi furono motivo di sgomento: l’oscurarsi del Sole o della Luna evocava l’idea dello spegnersi della luce e della vita. La Luna nelle antiche culture incarnava una divinità femminile: il suo misterioso oscuramento suscitava dunque il terrore di un venir meno della fecondità e del rinnovarsi della vita; lanciava un segnale di morte. Non è certo un caso che nella Bibbia, ogni volta che si profetizza la fine del mondo, la si associ al venir meno della luminosità degli astri: subito dopo la «tribolazione» degli ultimi giorni «il sole si oscurerà, / la luna non darà più la sua luce» (così nei Vangeli di Matteo e Marco e nell’Apocalisse; ma anche in Isaia, Geremia, Ezechiele).

Ancora oggi, anche se il buio che avvolge progressivamente i due grandi corpi celesti non suscita più i terrori e i funesti presagi di un tempo, lo spettacolo dell’eclissi non manca di fascino. Osservando l’eclissi lunare recente vedevo anche giovani e ragazzini col capo levato al cielo; e mi rallegravo che,  per una volta almeno, non stessero con il naso chino sullo smartphone  (anche se poi molti smartphones venivano subito tolti di tasca e puntati in alto, nel tentativo – poco realistico – di ricavarne immagini da mettere nei social). Voglio però sperare che siano stati molti i giovani che, lasciati perdere i telefonini, si sono abbandonati allo stupore contemplativo: e non solo perché, come dice Aristotele, dalla meraviglia nasce la filosofia, ma anche perché non sarebbe male che il lento rabbuiarsi del disco lunare abbia fatto sorgere negli osservatori qualche brivido d’inquietudine e qualche riflessione sulla fragilità dell’uomo e dell’intero universo. 

La scienza d’oggi ci dice che il nostro pianeta ha 4,5 miliardi di anni; questo significa che la Terra ha vissuto il 99,977% della sua esistenza senza godere della presenza dell’uomo. La scienza ci dice poi che una catastrofe planetaria non è affatto improbabile, anche se non è dato prevederne il momento: ad esempio, uno dei mille o più asteroidi di diametro pari o superiore a un chilometro potrebbe entrare in orbita di collisione col nostro pianeta, causando la morte di un quarto della popolazione mondiale; o ancora, potrebbe verificarsi un’altra «supereruzione» vulcanica come quella che circa 74’000 anni fa ricoprì il cielo di una nube di polvere immensa, precipitando la Terra in un’era glaciale; o, anche, terremoti come quelli che mille anni prima di Cristo e ancora durante il Medioevo rasero al suolo imponenti città…

La nostra civiltà occidentale, con l’affermarsi del cristianesimo, è sempre stata una civiltà apocalittica: lo storico Charles Freeman ha potuto rilevare che non ci fu una generazione, dal II secolo in poi, che non abbia pensato che si stessero avvicinando gli «ultimi giorni». Ma oggi gli squilli di tromba e la rottura dei sigilli dell’Apocalisse sembrano dimenticati e rimossi – così come, del resto, non si parla quasi più dell’inferno, che fino a non molti decenni fa costituiva il tema prediletto delle prediche ecclesiastiche (addirittura poi, nel 1999, lo schieramento teologico si spaccò tra chi sosteneva che l’inferno esiste e altri che, pur ammettendone l’esistenza, lo ritenevano vuoto). 

Il tempo nostro ha rimosso tante paure ancestrali, ma tende anche a distrarre dalla consapevolezza della fragilità umana. Se da un lato questo può essere gradevole, dall’altro induce al più sfrenato divertissement pascaliano, alla superficiale spensieratezza: mentre la saggezza del passato, almeno fino a Nietzsche, ha sempre insistito sull’importanza di dar valore al tempo, di far contare ogni attimo dell’esistenza vivendolo pienamente. 

Ma il nostro è tempo di eclissi: non sono solo i cerchi delle meridiane ad essere oscurati dalla fretta convulsa; basta pensare ai tanti libri che denunciano eclissi di ogni tipo: Eclissi dell’intellettuale (Elémire Zolla), Eclissi di Dio (Martin Buber), Eclisse della ragione (Max Horkheimer); e poi, di autori minori, Eclisse della democraziaEclissi del lavoro...

Sono le tante eclissi che annunciano una civiltà che tramonta: al confronto, che vuoi che sia una Luna che si annera?