Chissà se Donald Trump l’ha capito che con quel suo ripetere «Sleepy Joe» parlando di Joe Biden ha costruito uno dei più grandi punti di forza del suo successore alla Casa bianca: l’arte dei sottostimati. Biden è noioso, lento, inciampa con le parole e con le gambe, non sa reagire, non sa attaccare, quindi non sa nemmeno difendere né se stesso né il popolo americano: Trump ha definito così il perimetro del suo avversario, e non è stato il solo. Molti, durante la campagna elettorale dello scorso anno, hanno pensato e temuto che Biden fosse troppo fragile, per l’età e per i suoi toni pacati, per vincere e poi eventualmente imporsi. L’uomo forte e l’uomo debole, insomma.
Poi Biden ha vinto ma non ha fatto nulla per riabilitare la sua immagine dal punto di vista della comunicazione. Continua a fare discorsi abbastanza noiosi, annuncia poche conferenze stampa e solitamente non dice mai nulla di nuovo, inciampa sui gradini dell’Air force one, persino il suo ritratto ufficiale non ha nulla di iconico. Viene da pensare, dopo cento giorni di Amministrazione Biden in cui il presidente ha preso decisioni radicali e «transformational», come dicono loro, che la noia per Biden sia una strategia, anzi un’arte. Se le aspettative sono basse, se la gente pensa che sarai un nonno compassionevole (o uno zio, lo chiamano «Uncle Joe») che traghetta negli anni Venti il pensiero obamiano, puoi fare qualunque cosa. Ed è quello che ha fatto Biden: qualunque cosa.
Qualche numero. Ben 42 ordini esecutivi, cioè iniziative del Governo, più di qualsiasi altro presidente dai tempi di Truman. Laddove non riesce a ottenere il consenso bipartisan che va cercando, Biden si muove in autonomia, piaccia o no al Congresso. Tra questi c’è l’abolizione delle cosiddette «ghost guns», le armi che vengono assemblate e non hanno un numero di riconoscimento: è il primo passo verso una legge sul controllo delle armi, grande ambizione di Biden che già fu frustrata quando era vicepresidente dell’Amministrazione Obama. Il presidente ha anche ribaltato 62 ordini esecutivi voluti dal suo predecessore. Tanto per fare un confronto, Trump ne ribaltò «soltanto» 12 di Obama. In particolare tra questi 62 c’è il reintegro degli Stati uniti nel Trattato di Parigi sul clima, lo stop all’uscita degli Usa dall’Organizzazione mondiale per la sanità e lo stop al muro con il Messico al confine sud. Biden ha anche fatto in modo che fossero vaccinati 200 milioni di americani. Il suo obiettivo era 100 milioni in 100 giorni e l’ha raggiunto al cinquantottesimo. Biden, o meglio il suo account Twitter @POTUS, ha twittato in media 6 volte al giorno. La media di Trump era tre volte superiore, 18 tweet al giorno.
Oltre ai numeri c’è la politica. Biden ha adottato il suo «New deal», un pacchetto di stimoli per il valore di millenovecento miliardi che è destinato, per espressa volontà del presidente, a cambiare i connotati sociali dell’America. L’approvazione non è stata tutta rose e fiori, ma Biden il debole, Biden quello pronto a qualsiasi compromesso, ha detto ai repubblicani che proponevano dei cambiamenti (i quali avrebbero reso il «Recovery plan» americano di un terzo più piccolo): no, si fa come dico io. Ed erano i repubblicani con cui Biden vuole parlare, i cosiddetti moderati, l’asse su cui si fonda il dialogo dell’unità a lui tanto caro. Ma per il presidente quello stimolo non era negoziabile: soltanto così, e con un piano per le infrastrutture anche questo gigantesco (ma ancora in discussione), si potrà avviare quel processo di ridistribuzione della ricchezza che sta alla base del pensiero di Joe Biden. Il mercato non cura le diseguaglianze, lo deve fare lo Stato, ancora di più durante una crisi come questa.
Celebrando i suoi cento giorni davanti al Congresso riunito in plenaria, Biden ha annunciato un nuovo piano di sostegni per le famiglie da finanziare con le tasse ai redditi più elevati e ha dichiarato: «L’America si è messa di nuovo in moto». Poi c’è il piano per la transizione ecologica che per la prima volta vuole unire progresso e sostenibilità ambientale. Infine c’è la politica internazionale, quella che riguarda anche noi. Biden ha restaurato i rapporti con l’Europa, ha definito Vladimir Putin «un assassino», ha riconosciuto il genocidio armeno ignorando l’ira della Turchia, ha annunciato il ritiro dall’Afghanistan.
Chi celebra la «bontà» del presidente americano si sbaglia: non ha tolto i dazi all’Unione europea, non ha esportato vaccini finché non ha soddisfatto la domanda interna, non ha cambiato strategia nei confronti della Cina. Ha modificato i toni, questo sì, ha puntato sulla collaborazione invece che sulla competizione, e al Congresso riunito in plenaria ha detto di voler combattere contro quelli che pensano che l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio scorso sia «la prova che il sole sta tramontando sulla democrazia degli Stati uniti». E ancora oggi Joe Biden esercita l’arte dei sottovalutati: la nostra sorpresa è la sua forza.
«Uncle Joe» e l’arte dei sottovalutati
/ 03.05.2021
di Paola Peduzzi
di Paola Peduzzi