La bella estate calda, l’estate vagabonda. Un po’ qui un po’ là, secondo le occasioni, gli inviti, le proposte, seguendo l’idea che una città con il nome di un santo debba ispirare pensieri nobili, ricchi di spiritualità. Come Saint Vincent in Valle d’Aosta, dove sono andato per prendere parte a uno spettacolo di arte varia, cantanti, ballerini, equilibristi, maghi e monologhisti. Titolo dello spettacolo, Qui è tutto un casinò. Per la versione televisiva serve una sigla di testa. La giriamo nei locali del Casinò, la mattina, per non disturbare la normale attività. Ai nostri occhi si offre una visione inedita di ambienti solitamente affollati, notturni, nei quali circola un’atmosfera eccitata per il gioco e per l’azzardo. Ora sono illuminati da sciabolate di luce solare, vediamo le slot machines immobili e silenziose, mentre le donne addette alle pulizie svuotano i portacenere, spolverano, passano lo straccio sui pavimenti, bagnano le piante (anche quelle di plastica), lucidano gli ottoni. Per le riprese hanno dato a ciascuno di noi una ciotola piena di gettoni, avvertendoci che le eventuali vincite non sarebbero state considerate valide. La speranza segreta è di non vincere, per non doversi portare dietro il rammarico dell’occasione perduta. Una delle vallette al primo tentativo centra il risultato, la macchina vomita una valanga di gettoni; lei vorrebbe rigiocarli tutti e a stento riusciamo a tirarla via di lì, a riprova del fatto che il gioco d’azzardo ti prende persino quando è finto. Nel pomeriggio di quello stesso giorno l’ho incontrata.
Seduto all’ombra nel giardino dell’albergo stavo ripassando il mio monologo, quando mi sono accorto che a un metro di distanza si era materializzata una bellissima volpe, dalla gran coda e dal pelo lustro e marrone. All’inizio trattenevo il fiato per il timore di farla fuggire ma subito dopo ho realizzato che aveva preso confidenza. Non avrei mai immaginato che la voce di una volpe fosse così stridula. «Non ti ricordi più di me?», ha esordito. «Noi due siamo stati grandi amici, quando ero ancora in vita». «Come sarebbe a dire, ancora in vita?», ho avuto il coraggio di chiedere. «Dopo morto sono stato reincarnato in una volpe e ancora devo capire il perché». «Aiutami, dammi qualche elemento per capire chi eri». Mi sono corretto: «Per capire chi sei». «Non importa. Se non ci arrivi da solo significa che ho meritato il tuo oblio». Ho mormorato: «Scusami, a volte dimentico persino il nome dei miei nipoti.» «Anche se non ti ricordi più di me, un favore me lo puoi fare». «Se posso, volentieri». «Gioca per me stasera questi tre numeri, scrivili su un foglio, tre, ventitré e ventotto. Io non ho fatto in tempo a giocarli e purtroppo le volpi non le fanno entrare al casinò. Giocali finché non escono, ti porteranno fortuna, vedrai». Così come si era materializzata, la volpe è scomparsa e io ho trascorso il resto del pomeriggio ad almanaccare su quale dei miei amici già transitati nell’aldilà potesse essere stato reincarnato in una volpe. Nessuno di loro, che io sapessi, aveva mai manifestato interesse per il gioco d’azzardo e francamente si tratta di una di quelle passioni, o vizi, che è impossibile tenere a lungo celate.
Alla sera, al termine dello spettacolo, ho indossato il vestito scuro con camicia e cravatta e sono stato ammesso alle sale con i tavoli verdi della roulette. Ho cambiato 200 euro in fiches giurando a me stesso che quello sarebbe stato il tetto massimo delle mie perdite. Mi sono avvicinato al tavolo che sembrava meno affollato degli altri con l’insicurezza di chi compie quel gesto per la prima volta, le fiches in una mano e nell’altra il foglietto con i tre numeri, 3, 23, 28. Il croupier mi ha incoraggiato con un gran sorriso e poi, notando il foglietto, mi ha domandato: «È stata la volpe a darle quei numeri, vero?». Ero il bambino sorpreso con le mani dentro il vasetto della marmellata. «Come fa a saperlo?» ho domandato a mia volta. «Ormai la conosciamo bene, racconta sempre la stessa storia. E chiede sempre di giocare gli stessi numeri. Lei è libero di giocarli se crede, ma deve sapere che la volpe fa così con tutti quelli che incontra nel giardino dell’albergo». L’ho ringraziato e mi sono avviato al banco per ricambiare le fiches e mettere in salvo i miei 200 euro.
Qualcuno doveva aver prestato orecchio alla nostra conversazione sbirciando anche il foglietto che tenevo in mano perché, mentre ero già sulla soglia, ho sentito gridare: «Tre! En plein!».