Potrebbe apparire indelicato, addirittura inopportuno, nominare la felicità in giorni come questi, in cui la vita di tutti noi mostra il suo volto più fragile. Potrebbe apparire inopportuno nominare parole che colorano la vita proprio quando il nostro orizzonte esistenziale diventa opaco e ci ritroviamo tutti sospesi in uno straniamento inaudito e inatteso.
Eppure, proprio in questi giorni di sospensione, può accadere che dalla vita ci sia offerta la possibilità di cogliere il «non ancora visto»: un paesaggio che pure la abita, ma troppo spesso invisibile, soffocato da altre presenze.Presenze che oggi per pudore tacciono, o perlomeno si fanno un po’ da parte, come le sirene dei mille attimi di felicità: di quella felicità dell’attimo fuggente, con le sue infinite seduzioni in vendita nel mercato dei sogni di questo mondo così bello.
Un mondo «così bello» in cui tutto improvvisamente sembra vacillare, sgretolarsi, consegnando ciascuno di noi allo specchio della propria umanità più vera. E allo specchio della nostra umanità più vera, vera e nuda come la bellezza inquietante delle ninfe dei miti, potremmo veder affiorare la bellezza di un suo volto diverso. Nello specchio della nostra umanità disvelata potremmo intravvedere, dentro un paesaggio familiare divenuto in qualche modo estraneo, l’emergere di un altrove che potrebbe nutrire di voce nuova il silenzio solitario che oggi ci abita, per raccontarci, dentro questi silenzi, un altro mondo possibile. Un altro mondo che si annuncia discretamente sulla soglia delle nostre giornate, quando quella felicità del «sorridi sempre che fa bene alla salute», quella felicità che fa dell’allegria performante la chiave del successo, ci appare all’improvviso come una caricatura della vita.
Così, in questi giorni di sospensione, possiamo accogliere come un dono quell’idea altra che ci raggiunge dalla saggezza antica.Uno dei suoi messaggi più luminosi, pur con sfumature anche molto diverse, è contenuto nel significato di felicità come impegno personale verso la vita, poiché la felicità è lo scopo della vita.Una vita felice è una vita sbocciata nelle sue potenzialità, nelle sue virtù, come ricorda Aristotele e come pure ci sanno ricordare le nostre parole, quando parliamo di «un’esecuzione virtuosa», che sa esprimere tutte le potenzialità di uno spartito, o quando ci affidiamo alle «virtù delle piante», al loro benefico potere sulla nostra salute.
Siamo lontani dagli allegri significati promossi e propagandati dal mercato di una felicità divenuta quasi obbligatoria, da consumare in attimi piacevoli e divertenti. Nulla a che vedere con la spensieratezza della Vispa Teresa. Questa idea di felicità vuole accompagnarci nel dipanarsi dei nostri giorni. Si offre come un sentimento che può alimentare la nostra vita quando sappiamo prendercene cura, quando le prestiamo attenzione, quando, del nostro vivere, sappiamo accogliere la voce nell’intimità del nostro mondo interiore. È come un cielo che disegniamo, giorno dopo giorno, sopra di noi, ad accompagnare il nostro cammino, abitato anche da fragilità e sofferenza. Un sentimento intimo di piena adesione alla vita, che sa accogliere anche il peso, a volte lacerante, delle sue ombre, in un intreccio di bellezza e dolore che ne esprime tutta la verità.
Erodoto, nelle sue Storie scritte nel V secolo a.C., ci ha consegnato una delle prime espressioni della felicità come trama di un’intera vita. Si tratta di un dialogo tra Creso, il ricchissimo re dei Lidi, e Solone, il legislatore di Atene giunto in visita alla sua reggia. Creso chiede a Solone se avesse mai conosciuto il più felice degli uomini. Orgoglioso delle sue ricchezze pensava ovviamente di essere lui. Solone racconta invece di un cittadino ateniese che dopo una vita buona morì nel modo più bello durante una battaglia. Allo sconcerto di Creso, che sperava di ottenere almeno il secondo posto in classifica, Solone risponde con il racconto di due giovani fratelli, Argivi di stirpe, che condussero una vita pienamente autosufficiente, ai quali sopravvenne «una nobilissima conclusione della vita»: morirono infatti stremati dal giogo del carro con cui scelsero di condurre la madre al tempio di Argo per una festa dedicata ad Era.
La felicità, insomma, è sul nostro cammino, anche faticoso, fino alla fine del viaggio.Solo un esempio, tra i molti possibili, di un sentimento del vivere alimentato poi dai filosofi, da Socrate ad Epicuro, e oltre. Un sentimento del vivere che in questi nostri giorni ci raggiunge come un invito a dargli ospitalità.