Una storia tascabile del «Cantone sottosopra»

/ 27.09.2021
di Angelo Rossi

Orazio Martinetti, che i lettori di «Azione» incontrano, sicuramente con piacere, proprio su questa pagina, ha eletto, da qualche anno, come guida dei suoi studi storici sul Ticino, il motto dazegliano «L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani», adattandolo alla realtà ticinese. Martinetti pensa così che il Ticino sia quasi fatto ma che ora bisognerebbe fare i Ticinesi. Questa preoccupazione lo deve aver accompagnato anche nella stesura del suo recente studio sulle unioni e le divisioni all’ombra del Ceneri, uscito da Dadò con il titolo Il Ticino sottosopra. Che il Ticino sia un Cantone capovolto ce lo dice in primo luogo la sua idrografia. I nostri corsi d’acqua non corrono da sud verso nord, come quelli del resto della Svizzera (valli italiane del Canton Grigioni escluse), ma scendono da nord verso sud e questo perché la nostra orografia volge le spalle a quella del resto del Paese.

Tuttavia è bene precisare che il «sottosopra» del tascabile di Martinetti non riguarda la posizione cisalpina del Canton Ticino, ma la divisione geografica tra Sopra – e Sottoceneri. Si tratta di una divisione che ha un’origine geologica ma che si è poi ripresentata in diversi momenti storici sotto diverse forme. Nel Medioevo a prevalere è la divisione religiosa. Da un lato le parrocchie del Sopraceneri sottoposte all’arcivescovo di Milano. Dall’altro quelle del Sottoceneri, prevalentemente sottoposte al vescovo di Como. È una divisione che ha anche aspetti positivi perché consente ai Ticinesi, ancora oggi, di festeggiare due carnevali. Spesso, però, questa diversa sudditanza si traduceva anche in orientamenti contrari su questioni importanti. Poi, con l’arrivo degli Svizzeri, all’inizio del Cinquecento, il Cantone si suddivide in baliaggi e le divisioni si approfondiscono. Il balivo non governa; il potere politico e amministrativo rimane nelle vicinie sempre pronte a battersi per difendere i loro diritti.

Scriveva il Dalberti, nel secondo decennio dell’Ottocento è bene precisarlo, per spiegare perché il governo del Cantone non riusciva a far avanzare i suoi progetti: «Conoscete troppo bene Signore il vecchio sistema di amministrazione di queste regioni per sbagliarvi sull’estrema difficoltà a ridurre a una uniformità ragionevole così tante leggi e costumi diversi e, talora in contraddizione tra di loro. È vero che sarebbe (stata) sufficiente la buona fede per riconoscere quello che non va bene, e la perseveranza per ottenere, con i mezzi più dolci, le riforme più complete possibili. Ma se nella confusione delle leggi e dei poteri a perdere è sempre il popolo, c’è sempre qualcuno che ci guadagna, senza contare che vi sono persone deboli o prevenute che hanno paura di ogni novità. Così si vive alla giornata». E gli sviluppi successivi, dalla lotta politica a quella sportiva, passando per numerosi conflitti di carattere sociologico e culturale, non è che abbiano mitigato la litigiosità dei Ticinesi. Il Ceneri, quasi sempre, rappresentava la frontiera tra le due fazioni opposte. Martinetti ricorda però anche che, qualche volta, il Ceneri è potuto diventare anche un simbolo delle cose che i Ticinesi hanno o potrebbero avere in comune.

Oggi, con l’autostrada e la realizzazione della galleria ferroviaria di base, la frontiera tra Sopra – e Sottoceneri sembra essere scomparsa. Tuttavia, anche all’inizio del Secolo ventunesimo, il Ticino non è unito. Il Cantone – afferma Martinetti – continua a dividersi in due regioni: gli agglomerati urbani che occupano metà del territorio, da Chiasso a Claro, e le valli superiori, che occupano l’altra metà. Nella prima metà vivono però 9/10 dei Ticinesi, mentre nella seconda, che sembra sempre più assumere il ruolo della «riserva indiana», vive l’altro decimo. È possibile che i miglioramenti nella mobilità possano contribuire a ridurre antiche rivalità tra Sopra – e Sottoceneri. «Nel frattempo però – conclude Martinetti – converrà tener d’occhio l’altro Ticino, il Ticino escluso dalle grandi reti». Per cercare di non continuare a vivere alla giornata – aggiungiamo noi.