Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo(at)azione.ch


Una parità superficiale

/ 02.07.2018
di Silvia Vegetti Finzi

Gentile Signora Finzi,
mi rivolgo a lei per una risposta ad un problema seppur banale, del quale non so se io sia in torto. Sempre più spesso nei negozi ti danno del tu, «ciao, cara, amore», persone che potrebbero essere mie figlie o addirittura nipoti. Questo modo di fare mi dà fastidio, ed un giorno alla signora che mi serviva al negozio del paese le ho fatto notare quale sia il mio nome di battesimo, come pure le ho detto che poteva pure darmi del tu come dire ciao visto che quasi ogni giorno mi reco per la spesa, ma tutte queste paroline a me non garbavano. Il giorno seguente ha chiesto per quale motivo, al che ho risposto che lo trovavo inopportuno, «oltretutto non conoscevano nemmeno il mio nome», come pure sia una mancanza di rispetto.
Apriti cielo, ora non salutano quasi più, se sono alla cassa ti si rivolgono in modo gelido e, prima se avevo la moneta me la chiedevano, ora rispondono negativamente. Queste signore sono straniere, però mi chiedo se ora pure nelle scuole di apprendistato hanno questa teoria?
La ringrazio per la sua gentil risposta. / F.

Gentile signora,
spesso, come in questo caso, le questioni più piccole svelano i problemi più grandi. Dietro l’eccessiva familiarità della sua negoziante si scorge infatti, in filigrana, il crollo della società tradizionale.
La struttura verticale delle relazioni sociali, dove il vertice della gerarchia era occupato dal padre e da tutte le figure che lo rappresentavano, il re, il papa, il comandante in capo, il prefetto, il preside, il primario, sino al caporeparto e al poliziotto, è collassata, sciolta in quella che il filosofo Bauman definisce la «società liquida».

Dalla fine del Patriarcato non è emersa una collettività matriarcale, ma una personalità individualista, indifferente, centrata sull’Io e suo Mio. Insensibile alle regole e alle Leggi, il nuovo Narciso ignora le differenze: le gerarchie di età, professionalità, esperienza e autorevolezza. Gesti di riconoscimento come alzarsi in piedi quando entra in classe l’insegnante, cedere il posto sui mezzi pubblici alle persone anziane, aprire le porte lasciando il passo a una signora sono ormai entrati in disuso. E non è tanto una questione di galateo quanto di identità e di reciprocità.

Nello stesso tempo parole affettive come «caro», «amore», «ciao», mortificate in un chiacchiericcio insensato, spese a vanvera, rivelano un’inflazione della lingua che depaupera la nostra cultura. Spesso sembra di essere all’asilo infantile, ma i bambini sono più saggi di noi.

«Uno vale uno» è lo slogan dell’organizzazione politica che meglio esprime questo superficiale appiattimento.

La struttura verticale della società tradizionale imponeva un’etica, per certi versi discutibile – come quando l’autorità si trasforma in autoritarismo – ma pur sempre un’etica. Ora gli ideali sono rappresentati invece da un’estetica massmediatica sempre più esigente. Vale chi, essendo riconosciuto bello, anzi bellissimo, suscita negli altri (soprattutto nella massa informe dei connessi digitali) successo e ammirazione.

In noi adulti, o «più che adulti», i comportamenti sgarbati che ne conseguono provocano irritazione, uno stato d’animo che condivido pienamente con lei, ma solo pochi hanno il coraggio di reagire perché tutto sembra ormai inevitabile.

Le conseguenze più gravi riguardano però i giovani e in particolare gli adolescenti. Rimasti privi di valide figure di riferimento, sottoposti alle suggestioni della «società dello spettacolo», si sentono inadeguati rispetto agli ideali estetici proposti, anzi imposti da messaggi insinuanti e insistenti.

Cercano allora di omologarsi agli altri sino a diventare indistinguibili. In un mondo piatto come un elettroencefalogramma piatto, tutti vengono trattati come giovinastri ed è questo il modello che gli stranieri recepiscono e a cui si conformano. Col paradosso che il mio portinaio mi dà del «tu» mentre io gli rispondo con il «lei», anche se potrei essere sua madre.

Gli osservatori più pessimisti traggono da questi comportamenti previsioni catastrofiche sul futuro della nostra civiltà. Ma io non sarei così negativa, penso che il crollo di un’organizzazione sociale plurisecolare, come il patriarcato, non possa essere sostituto nel giro di poche generazioni da un altro modello di convivenza. Ci vorrà molto tempo perché la parità superficiale, la familiarità anaffettiva e l’insignificanza verbale che caratterizzano la nostra epoca si trasformino realmente in eguaglianza, solidarietà, fratellanza.

È con questa speranza che dobbiamo procedere oltre le rovine del passato.