Una Nigeria ancora da scoprire

/ 11.04.2022
di Claudio Visentin

Siamo già stati dappertutto. Non vedremo più paesaggi nuovi e culture diverse. I Paesi ormai sono tutti uguali: dovunque guardi, l’occidentale trova soltanto il riflesso deformato del suo stesso volto… È l’eterna lamentela dei «viaggiatori», come amano definirsi per distinguersi meglio dai disprezzati «turisti». È un punto di vista decisamente snob e naturalmente non è neppure nuovo, lo sentiamo ripetere da un paio di secoli con parole quasi identiche. Ma soprattutto è falso.

Certo la globalizzazione ha avvicinato tra loro le diverse culture del mondo, in un dialogo inedito per intensità (che tuttavia non cancella necessariamente le differenze, anzi a volte sembra quasi sottolinearle). Ed è altrettanto evidente che l’industria turistica, con i suoi itinerari fissati, a volte sembra proporre una rappresentazione del mondo piuttosto che la realtà. Ma non per questo è venuta meno la possibilità (e il piacere) della scoperta.

Questo pensavo leggendo l’ultimo numero delle guide The Passenger, dedicato alla Nigeria (in libreria dal 13 aprile). Queste guide, pubblicate da Iperborea, sono davvero speciali: al posto dei soliti monumenti e delle informazioni pratiche propongono un ritratto originale del Paese attraverso efficaci infografiche, un servizio fotografico inedito e soprattutto lunghi reportage affidati a giornalisti e scrittori. 

Per la prima volta questa collana si è occupata di un Paese africano. Certo la Nigeria non è la prima destinazione che viene in mente per una vacanza: prima di poter pensare alla vita notturna della sua città principale, Lagos, o ai meravigliosi parchi naturali, bisogna fare i conti con alcuni problemi di sicurezza e qualche rapimento di troppo. Inoltre la principale ricchezza del Paese, il petrolio, è causa di corruzione, scontri tra fazioni, conflitti con le multinazionali. Per questo qualche buon contatto locale può essere utile (come sempre del resto) prima di progettare un viaggio.

Al di là di questi innegabili limiti, la Nigeria è però anche un Paese semplicemente decisivo per il futuro dell’Africa e in qualche misura anche dell’Europa. Per cominciare, nel 2050 la Nigeria raddoppierà la sua popolazione in solo trent’anni e conterà quattrocentotrenta milioni di abitanti, lo stesso numero dell’intera Unione europea (in quell’anno un bambino su tredici nel mondo sarà nigeriano). Considerando che già ora la metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, questa impetuosa crescita demografica – a fronte del nostro lento declino – avrà ovviamente conseguenze sull’immigrazione.

Oggi i nigeriani sono ben presenti nei flussi verso l’Unione europea, eppure per il momento oltre la metà viene da un’unica città, Benin City, solo la quarta del Paese, con circa quattro milioni di abitanti. Sulla carta questi migranti sono richiedenti asilo, ma in realtà le motivazioni della loro partenza sono quasi esclusivamente economiche e come tali andrebbero comprese e gestite: parliamo di politica e diritti umani quando dovremmo ragionare di lavoro e sviluppo.

Le sorprese non finiscono qui. L’industria cinematografica nigeriana (scherzosamente chiamata Nollywood) è seconda solo a Bollywood (India) per numero di film prodotti, mentre sta saldamente davanti a Hollywood. Un milione di addetti lavora in questo settore sorprendentemente vivace, combinando kitsch e intrattenimento in prodotti originali, anche se ovviamente budget e proventi sono assai minori del gigante americano. Anche l’industria musicale nigeriana sta conquistando il mondo grazie alle sue hit afrobeats.

Per parte sua Lagos fa davvero poco per ingraziarsi il turista, con il suo disordine, il traffico frastornante, i continui blackout. Ma è sempre diversa e sorprendentemente vivace. Inoltre, proprio per la necessità di arrangiarsi, è la città africana con più start-up, davanti a Nairobi e Città del Capo.

Potrei continuare con gli esempi, ma vengo alla conclusione. Prima di questa lettura non sapevo nulla, o quasi, di tutto questo. E pagina dopo pagina mi sono sempre più convinto che, anche nel tempo della globalizzazione, il mondo resta sorprendentemente interessante, vario, in continua trasformazione. Lo capiremmo subito se solo fossimo viaggiatori più curiosi e coraggiosi.