La conferenza sull’Ucraina a Lugano ha soddisfatto le aspettative, che non erano alte. È stato un segnale positivo agli ucraini, un modo per dir loro che non sono soli. Con la Dichiarazione di Lugano, firmata dai rappresentanti di 42 paesi e da 5 delle 16 organizzazioni internazionali, si sottolinea l’impegno a ricostruire il paese e da parte ucraina la volontà di rendere conto in modo trasparente di come saranno gestiti gli investimenti, che dovranno essere il più sostenibili possibile, di democratizzare ulteriormente il paese, con un occhio particolare al rafforzamento del potere giudiziario per combattere la corruzione, uno dei maggiori punti deboli dell’Ucraina. Certo, è una dichiarazione di intenti, non era una conferenza di donatori, per cui non sono state promesse somme concrete (il primo ministro ucraino Denis Shmihal ha stimato i danni di guerra a 750 miliardi, senza contare quelli nelle regioni occupate dalla Russia), a questo ci penseranno conferenze future delle Nazioni Unite e dell’Unione europea. Ma farà da bussola per i processi a venire.
La critica principale formulata alla vigilia è che ha poco senso discutere di ricostruzione mentre la guerra è ancora in corso. In realtà una conferenza sull’Ucraina in Svizzera era già prevista, sarebbe dovuta essere la quinta, dopo Londra, Copenaghen, Toronto e Vilnius, dedicata al processo di riforme nel paese est europeo. Ma avrebbe avuto poco senso parlare di riforme (ciò che è stato fatto) senza prendere in considerazione la ricostruzione del paese, senza la quale le riforme non possono essere realizzate. Altri motivi concreti li hanno forniti gli ucraini: dove i russi si sono ritirati, vanno riparate al più presto le case, i ponti, l’infrastruttura per l’energia e per l’acqua (Ruslan Stephantschuk, presidente del parlamento, in un’intervista al «Tages Anzeiger»); ponti, strade, ferrovie vanno riparati al più presto, poiché sono infrastrutture centrali sia per le esigenze dell’esercito in guerra, sia per la ripresa economica, e per facilitare le esportazioni verso l’Unione europea le ferrovie dovranno adattarsi allo scartamento europeo, meno largo di quello russo-sovietico, ma la vera ricostruzione avverrà dopo la guerra, ora ci si concentra a riparare i danni, su piccoli progetti, si aggiustano gli ospedali, non li si ricostruisce nuovi ora (Olexander Kubrakov, ministro per le infrastrutture in un’intervista alla «Neue Zürcher Zeitung»). In sintesi: non si può chiedere alla popolazione ucraina di riprendere a vivere solo una volta finita la guerra; aiuti e investimenti immediati e mirati contribuiscono a tener alto il morale della popolazione, che in questo modo sente la solidarietà internazionale. Come e dove si troveranno i capitali per la ricostruzione è un’altra storia, ma considerata l’importanza geostrategica assunta dall’Ucraina per l’Occidente si può presumere che si troveranno, anche mobilizzando capitali privati (gli Stati da soli non possono coprire tutto il fabbisogno, poiché ci sono anche altre priorità). A Lugano il primo ministro Shmihal ha suggerito che i 300-500 miliardi di dollari di patrimoni russi congelati vengano dedicati alla ricostruzione dell’Ucraina, così da dare anche un segnale ad eventuali altri paesi con mire aggressive. Ma il consigliere federale Cassis ha ricordato che questa discussione va condotta in modo serio, che in una democrazia liberale la proprietà privata è un diritto fondamentale che protegge l’individuo da abusi da parte dello Stato. In effetti Cassis ha ragione: per essere confiscati, deve essere provata l’origine criminale dei capitali (oggi sono solo congelati). E si può star certi che questo sarà un capitolo che occuperà i tribunali dell’intero Occidente. Motivo per cui il postulato della consigliere nazionale verde di San Gallo Franziska Ryser di impiegare gli oltre 6 miliardi di franchi russi congelati in Svizzera per la ricostruzione dell’Ucraina non avrà verosimilmente grandi chance in parlamento.
La Conferenza di Lugano non entrerà probabilmente nei libri di storia, ma è stata l’occasione per politici e imprenditori per conoscersi, intavolare discussioni, capire la situazione in cui si trova l’Ucraina e gli sforzi riformatori del governo. Un conoscente che vi ha partecipato si è mostrato piacevolmente sorpreso dalla serietà e dalle visioni trasmesse dalla delegazione ucraina. La mancata partecipazione fisica del presidente ucraino Volodimir Zelenski (seppur presente virtualmente) era prevedibile, l’assenza dei grandi della Terra altrettanto, ma Lugano si iscrive in un insieme di forum che hanno al centro l’Ucraina, ci sarà un seguito in Gran Bretagna, poi in Germania, quindi in Estonia. E mostra al mondo che la Svizzera sa cosa significhi la solidarietà.