Una brusca frenata

/ 11.04.2022
di Angelo Rossi

Eravamo all’inizio di febbraio, dunque ancora poche settimane fa, e tutto sembrava ancora andare per il meglio per le economie dei paesi sviluppati, in particolare per quella degli Stati Uniti e quelle dei paesi europei. In vista dell’uscita oramai prossima dal tunnel della pandemia, le previsioni economiche era rosee. Per il 2022 si prevedeva un tasso di crescita del Pil sostenuto e livelli elevati dell’occupazione. Per i commentatori dell’andamento congiunturale, la sola preoccupazione era costituita dal rincaro che, specialmente negli Stati Uniti, aveva superato quello che da qualche anno viene considerato, almeno in Europa, come il tasso di inflazione desiderabile, ossia un rincaro pari al 2%. Poi è arrivata l’invasione dell’Ucraina a cambiare non solo le aspettative degli investitori, specie in materia di mercati energetici, ma anche la realtà delle negoziazioni giornaliere nei rispettivi mercati.

Ora, sia negli Stati Uniti, sia in molti paesi europei, il tasso di aumento dei prezzi ha superato il 7%, il che obbligherà, a breve, più di una banca centrale a intervenire con un rialzo sensibile dei tassi di interesse. L’aumento dei tassi di interesse rischia di tagliare la testa, là dove sarà adottato, alla ripresa della domanda globale che veniva anticipata dalle previsioni di fine anno. Di conseguenza, diversi governi stanno mettendo a punto piani per migliorare la situazione in materia di approvvigionamenti energetici diventati scarsi proprio in seguito alla guerra. Quello che finora ha destato più clamore è costituito dalla liberazione di una parte consistente delle riserve strategiche di petrolio degli Stati Uniti, gettate dal presidente Biden sul mercato per cercare di contenere l’esplosione dei prezzi, in particolare del prezzo della benzina. Saranno in grado queste misure di frenare l’inflazione? E a partire da quando? Quello che sta emergendo, in materia di previsioni, è un clima di attesa con prese di posizione molto caute e una tendenza alla revisione delle stime per il 2022 con leggere riduzioni dei valori precedenti.

A livello europeo Eurostat ha modificato verso il basso, in marzo, le sue previsioni del dicembre 2021. Nel 2022, il prodotto interno lordo dell’Unione dovrebbe ora crescere con un tasso del 3,7% contro il 4,2% ancora previsto alla fine dell’anno scorso. Sono gli aggregati interni della domanda globale a determinare questo cambiamento. Così il tasso di variazione dei consumi privati del 2022 dovrebbe, stando alle previsioni di marzo, ridursi del 10,6%, quello degli investimenti del 23,0%. Il tasso di crescita delle esportazioni dovrebbe invece crescere e influenzare positivamente la crescita del prodotto interno lordo. Ma questa compensazione non riuscirà, come risulta dalle nuove stime, a impedire la riduzione del tasso di crescita dell’aggregato della produzione. Le aspettative di esperti e operatori sono così dominate dal pessimismo. Siccome la frenata congiunturale è determinata, attualmente, dall’andamento di consumi e investimenti, sul modo come si svilupperà influirà anche l’esito delle trattative sui salari.

È evidente che il rincaro sta, praticamente da più di un anno, riducendo il potere di acquisto di larghe fasce di consumatori europei. In più di un paese si è cercato di tenere a bada il rialzo dei prezzi concedendo ribassi fiscali o altre facilitazioni destinate a contenere il rincaro dei vettori energetici. La maggioranza degli economisti considera queste misure come inefficaci e inefficienti. In molti si sono invece pronunciati, anche in Svizzera, per un aumento dei salari. Osserveremo, da ultimo, che l’economia svizzera, in questa circostanza, sta comportandosi in modo molto diverso delle altre economie europee. Il tasso di inflazione, da noi, è molto più contenuto. Attualmente ha raggiunto il 2,4%. Nella sua presa di posizione sulla politica monetaria del mese di marzo, la Banca nazionale svizzera ha pubblicato previsioni rassicuranti quanto all’evoluzione dell’inflazione nel nostro paese. Stando alle stesse nel 2022 il rincaro dovrebbe raggiungere il 2,2% per poi scendere nel 2023 e nel 2024 allo 0,9%. Per il momento, quindi la Banca nazionale non pensa di dover intervenire. È da pensare che, fintanto che il franco svizzero si rivaluta, l’inflazione non interverrà certamente a disturbare i sonni dei nostri massimi banchieri. Quanto ad eventuali rivendicazioni salariali bisognerà aspettare l’autunno per vedere che cosa succede.