«Lo sai che siamo i primi uomini a vedere l’alba sulla luna? Non c’è un sopra e un sotto, ci siamo dentro tutti». Sono parole pronunciate da Galileo in un bel film del 1968 di Liliana Cavani. Con il suo grande amico Sagredo, e con il suo cannocchiale, Galileo di notte scrutava il cielo, alla ricerca di prove all’intuizione copernicana dell’eliocentrismo che avrebbe spodestato l’uomo dal centro dell’universo. La visione geocentrica, a quel tempo, non era infatti soltanto l’Auctoritas scientifica, ma una vera e propria visione del mondo, dell’uomo, della vita.
A dispetto del terremoto culturale che innescò, il metodo con cui arrivò a dimostrare la nuova verità finì tuttavia, un po’ paradossalmente, per lasciare spazio ad una rinnovata forma di antropocentrismo. Il mondo, la natura, «il grande libro scritto in lingua matematica», diventa oggetto conoscibile a condizione che l’uomo, il soggetto della conoscenza, se ne chiami fuori.
È famosa la sua espressione secondo cui è necessario «rimuovere l’animale» per conoscere le qualità oggettive della realtà. E così, posti al centro di una natura divenuta oggetto della nostra conoscenza abbiamo imparato a trasformarla, ad usarla, a dominarla, in un lungo processo storico che, accanto ai molti progressi, ci ha apparecchiato anche gli squilibri ecologici del presente.
L’opera di Galileo, che tanto gli costò sul piano umano, può comunque essere interpretata come una precoce apertura all’idea coraggiosa di un universo in cui tutto si tiene, in cui tutto è intrecciato. Quel «ci siamo dentro tutti» pronunciato con emozione nel film, sembra anticipare l’idea di una comune appartenenza al cosmo di tutte le forme di vita.
Oggi sappiamo che le cose stanno davvero così, eppure ciò non sembra troppo scalfire l’immaginario antropocentrico che resta così ben radicato nella nostra cultura. Sono le eterne ambivalenze della storia che alla fine diventano una questione etica non irrilevante, poiché il dialogo tra ciò che sappiamo sul mondo e il nostro modo di abitarlo è fondamentale nella vita di ognuno.
Un esempio di questo dialogo mancato riguarda proprio uno dei fondamenti dell’antropocentrismo, e cioè la separazione tra soggetto e oggetto nella conoscenza.
Il principio di indeterminazione, enunciato nel 1927 da Werner Heisenberg, ha messo in discussione la possibilità di distinguere il soggetto dall’oggetto, dal momento che l’osservatore perturba l’osservazione. Come dire, non possiamo chiamarci fuori nemmeno dalle nostre conoscenze. Nonostante questa potente provocazione scientifica, il nostro immaginario continua a raccontare l’esperienza della vita umana come una storia di soggetti alle prese con un mondo di oggetti naturali, con tutte le conseguenze etiche che questa nostra supponenza ha comportato e tuttora comporta.
Bello sarebbe invece metterci allo specchio del nostro vivere provando a riconoscere che forse sì, tutto è davvero interconnesso nel cosmo e nella sua complessità.
Lascio alle parole di Fritjof Capra, contenute nel suo Tao della fisica, il compito di accompagnarci in questo possibile dialogo con noi stessi. «In un pomeriggio di fine estate, seduto in riva al mare, osservavo il moto delle onde e sentivo il ritmo del mio respiro, quando all’improvviso ebbi la consapevolezza che tutto intorno a me prendeva parte ad una gigantesca danza cosmica».
Ecco allora affiorare la questione etica: la nostra percezione della vita spesso non sa riflettere l’armonioso intrecciarsi delle cose nella natura. Le nostre società non sanno ispirarsi ad una visione del mondo più armoniosa, nutrita dalla complessità di intrecci spesso intuìti dai poeti e confermati oggi anche dalla scienza.
A proposito della danza cosmica sentita nel respiro da Fritjof Capra, mi viene in mente una recente, straordinaria scoperta scientifica secondo cui nell’agonia e nella morte di una stella si produrrebbe un vento cosmico, una specie di ultimo respiro, fatto di granelli di materia lanciata nell’universo.
Il vento è ànemos in greco e, come un’anima dell’universo, questa polvere di stelle sarebbe all’origine della formazione di altri pianeti e perciò potrebbe essere all’origine anche della vita stessa.
Su questo sfondo cosmico, una stella morente sa diventare vento di vita.
Una vita da ripensare, mossa da un vento fatto di inattese armonie, come suggeriscono questi versi di Garcìa Lorca: «Le onde / rimano con il sospiro / e la stella / con il grillo. / Trema sulla cornea / tutto il cielo freddo, / e il punto è una sintesi / dell’infinito. Ma chi accorda onde / e sospiri, / stelle / e grilli? / Aspettate che i Geni / si distraggano un attimo. / Le chiavi scorrono / fra noi».