Un San Nicolao decisamente diverso

/ 14.12.2020
di Ovidio Biffi

San Nicolao mi ha portato tre doni. Dapprima musica, che irrompe in casa mentre sul video cercavo una gara di sci annullata. Pensando che lo scorso anno si sciava quando non c’era neve, mi sono spostato su La1 giusto in tempo per l’avvio di Paganini, trasmissione settimanale dedicata alla musica. Vedo che la presentatrice ospita Giuseppe Clericetti, musicologo e voce di Rete Due, personaggio giusto per orientare sulla professione di critico musicale. Poi il regalo di San Nicolao: l’Orchestra di Berlino diretta da von Karajan che esegue il Concerto per pianoforte e orchestra nr. 1 di Ciajkowski. Il solista è Alexis Weissenberg, autore di un’esecuzione strabiliante, disturbata solo da alcune forzature (ma erano gli albori delle registrazioni tv) volute dal regista alla ricerca di immagini coordinate con la musica. Finito il concerto cerco dati su Weissenberg: di origini bulgare ma naturalizzato francese, aveva vissuto l’ultimo ventennio della sua vita a Lugano dove è morto all’età di 82 anni, nel 2012. Oggi avrebbe quindi 90 anni e probabilmente sarebbe ancora «uno dei più grandi pianisti del nostro tempo», come l’aveva definito Herbert von Karajan quando lo chiamò a Berlino. Il giorno di San Nicolao un altro straordinario pianista avrebbe invece compiuto cento anni. Trovo la notizia di questo anniversario sul «Corriere della Sera» e mi affretto a cercare riferimenti su Internet: basta scrivere Dave Brubeck e il web suggerisce il link del suo celeberrimo Take five, una delle vette del jazz. Leggendo altre notizie di questo formidabile compositore e pianista americano, mi accorgo che anche lui è scomparso nel dicembre del 2012, alla vigilia del suo novantesimo anno, essendo nato il 5 dicembre del 1920. Strane coincidenze. Chissà se da qualche parte i due hanno festeggiato assieme, seduti davanti alla tastiera.

L’armonia della giornata è interrotta dalla notizia che i media lanciano nel pomeriggio: secondo Santésuisse «I premi non aumenteranno a causa del Coronavirus». Ora – tenendo a bada lo scetticismo – vediamo di capire se sarà proprio un regalo. Titolo subdolo che più non si può. Favorendo come al solito i domenicali (un giorno, indagando sulle tecniche di marketing applicate al lobbismo, qualcuno spiegherà perché i «cassamalatari» privilegiano questo sentiero mediatico) si comunica che ci saranno oltre 550 milioni di franchi di costi non preventivati dalle casse malati per visite, esami, trattamenti, farmaci, vaccini e cure ospedaliere dovute alla pandemia. Primo rilievo: visto che i «cassamalatari» usano l’incidenza dei costi del Covid per dire che i premi del 2021 non aumenteranno, possiamo stare tranquilli che non comunicheranno altre teorie o altri costi per giustificare l’abituale «contrordine compagni»? Secondo rilievo: da mesi ospedali e medici curanti  dicono di essere in difficoltà, dato che molti pazienti disdicono visite o rinunciano a cure non urgenti e che le case di cura devono rinviare tutta una serie di interventi (anche per le cure oncologiche). Ciò significa che, se la matematica non è cambiata per colpa del virus, le casse malati da mesi registrano minori uscite per costi «non Covid». Allora, perché non vengono quantificati e inclusi nei parametri che determinano i prelievi obbligatori (e smettiamola di chiamarli «premi»!) per il prossimo anno? Qualche cantone già si è attivato per far capire ai «cassamalatari» che le vacche grasse sono finite e che non potranno più nascondere decine di miliardi di riserve. Speriamo che queste reazioni favoriscano, se non un «redde rationem», perlomeno un maggior rispetto etico, magari tenendo conto che mentre tutte le istituzioni – dai governi agli ospedali, dalle imprese e alle organizzazioni non profit – si sono prodigate in sovvenzioni e aiuti, in tanti mesi di pandemia le casse malati hanno confermato solo di avere il braccino corto. Ovviamente sempre e solo «a vantaggio dei cari affiliati»!

La giornata, per fortuna, termina con un terzo dono di San Nicolao, tutto digitale o quasi. Vedo su Instagram una fotografia con la dicitura «Belvedere della Muggiasca». Sobbalzo. Ma come: dalla Muggiasca non si vedono laghi! Così apprendo (imparo) che a Bellano c’é un belvedere sul lago di Como con lo stesso toponimo che per me sinora indicava l’alpe del Generoso. Indagando scopro che quella è la regione del monte Muggio e che c’è anche un’alpe Giumello. Questo basta a farmi immaginare che i primi abitanti delle valli del Ticino centrale e meridionale siano partiti da qui, per poi risalire il versante opposto del lago di Como e scendere dal Generoso o dal Gesero. Trovo un primo indizio in una leggenda popolare secondo la quale «un gigante di nome Muggio, sentendosi vecchio e ormai prossimo alla fine si fece un gran manto verde, se lo gettò sulle spalle ormai curve e...». Mi sa che era il prototipo dei frontalieri...