Conosco Marco Pratellesi da tanti anni, ho seguito diversi suoi interventi al Festival del giornalismo di Perugia, è stato ospite di diverse lezioni all’USI quando lavoravo all’Osservatorio europeo di giornalismo ed è stato protagonista di una serata sui Panama Papers organizzata dall’Associazione ticinese dei giornalisti quando era capo redattore responsabile del sito dell’«Espresso». Tra i pionieri del giornalismo digitale, condirettore fino al 2020 di Agi, Agenzia Giornalistica Italia, da tempo seguo le sue attività sui social media. Ultimamente ha pubblicato diversi post sull’applicazione dell’intelligenza artificiale al giornalismo e come spesso mi accade sui social, vedo delle cose che mi interessano, non ho tempo di leggerle o approfondirle in quel momento e dunque me le segno per non dimenticarle e tornarci in un’altra occasione.
Quell’occasione è arrivata e ho scoperto un suo interessante contributo intitolato Robot in redazione cogliete l’attimo uscito su «Prima Comunicazione». Per spiegarne il taglio e il tenore basta forse una citazione: «Nessuno dovrebbe sottovalutare la portata di questa innovazione che può regalare un vantaggio competitivo a chi la adopera, senza dimenticare le competenze etiche e deontologiche alla base del buon giornalismo». Come consumatori di notizie ma anche come giornalisti, non è facile pensare al connubio tra AI e informazione ma a guardarci dentro si scoprono cose davvero interessanti e soprattutto si scopre che l’AI è già al lavoro in alcune redazioni. Dreamwriter realizzato dal gigante cinese TenCent è il nome di un robot giornalista capace di scrivere una storia di mille battute in un minuto e sfornare 500mila articoli l’anno. Testi che un tribunale di Shenzhen ha ritenuto qualificati per la protezione del copyright.
Il «New York Times», il «Washington Post» e «El País» hanno introdotto la moderazione automatizzata dei commenti agli articoli per liberare risorse giornalistiche e lavorare sul coinvolgimento dei lettori. Passo reso possibile da programmi di Machine learning come Perspective, strumento open source sviluppato da Jigsaw, incubatore di tecnologie di Alphabet. Altra iniziativa interessante è quella lanciata dal «Sole24Ore» in collaborazione con Dataninja, il Centro di tecnologie del linguaggio naturale dell’Università di Pisa e con il sostegno di Google nell’ambito del programma Google News Initiative. Si tratta di due podcast quotidiani, uno aggiorna gli ascoltatori sulle chiusure delle principali borse europee e mondiali, l’altro aggiorna sulla pandemia e la campagna di vaccinazione in Italia e nel mondo. Il sistema che rende possibile quest’operazione si chiama AI Anchor e produce automaticamente testi e podcast partendo da dati strutturati provenienti da diverse fonti. Insomma, l’intelligenza artificiale è già tra noi, ce lo dice anche Francesco Marconi, autore del saggio Newsmakers: Artificial Intelligence and the Future of Journalism, già responsabile ricerca e sviluppo del «Wall Street Journal» e collaboratore della startup Applied XI sviluppatrice di strumenti per automatizzare la raccolta dati per i giornalisti. In un’intervista di qualche settimana fa su «Wired» dal titolo L’intelligenza artificiale può cambiare il modo di fare giornalismo, Marconi parla di un nuovo tipo di giornalismo, il giornalismo computazionale, che aspira a spiegare i fatti di cronaca con rigore scientifico. «L’esplosione dei dati sul web, quelli raccolti dai dispositivi mobili e dai satelliti, e poi le nuove possibilità di calcolo messe a disposizione proprio dalle intelligenze artificiali stanno creando l’ambiente ideale per trasformare il giornalismo».
A suo avviso l’integrazione dell’intelligenza artificiale nel mondo dell’informazione che va poi a costituire quello che Pratellesi chiama «modello di informazione ibrido uomo-macchina», è un processo dal quale nasce un giornalismo molto più veloce e affidabile. Insomma, grazie all’apprendimento automatico e all’elaborazione del linguaggio naturale presto troveremo e raccoglieremo notizie in modo automatico a una velocità oggi impensabile. Ma quante redazioni oggi utilizzano l’intelligenza artificiale? A questa e altre domande risponde lo studio New powers, new responsibilities. A global survey of journalism and artificial intelligence di Charlie Beckett direttore di Polis, think thank della London School of Economics. Dei risultati di questa ricerca in cui sono coinvolte 71 testate di 32 paesi parleremo sempre qui tra due settimane. Vi aspetto.