Un puzzle politico a cui manca un pezzo

/ 15.03.2021
di Paola Peduzzi

Israele ha rimosso buona parte delle restrizioni introdotte per contenere la pandemia grazie a una campagna di vaccinazione che fa chiacchierare e sospirare tutto il mondo, tanto è veloce ed efficace. In due mesi, quasi il 40 per cento dei 9,3 milioni di abitanti è stato completamente immunizzato (due dosi). La libertà riconquistata arriva dopo mesi di lockdown, a pochi giorni dalle elezioni, che si terranno il 23 marzo e che sono il quarto appuntamento elettorale in soli due anni. Bar e ristoranti, spettacoli teatrali, eventi sportivi, hotel, scuole primarie e secondarie: tutto torna a funzionare, a parte alcuni luoghi accessibili solo a chi è già stato vaccinato e i limiti che restano sugli assembramenti. Questa efficienza nelle vaccinazioni e il graduale (ma a noi sembra rapidissimo) ritorno alla normalità sono le armi elettorali del premier, Benjamin Netanyahu, che cerca la riconferma come guida del Governo di Israele, nonostante i suoi guai giudiziari e l’instabilità politica che lui stesso ha contribuito a generare. E non è detto che questa ennesima tornata elettorale possa superarla, l’instabilità, anzi.

Secondo le ultime rilevazioni, ancora una volta si tratterà di conteggi all’ultimo minuto, di maggioranze risicate e litigiose. Il blocco che vuole Netanyahu ancora premier del Likud, Shas, United torah judaism e Partito religioso sionista, avrebbe 47 seggi. Il blocco che non lo vuole – Yesh atid, il cui leader Yair Lapid sarebbe il premier alternativo a quello attuale, Nuova speranza, Ysrael Beiteinu, Labor, Blu e bianco e Meretz – ne avrebbe 53. Ma ci sono tante incognite. Per cominciare il passaggio della soglia di sbarramento che riguarda in particolare Meretz, che mette insieme ex sigle di sinistra, e Blu e bianco, il partito che all’ultima elezione si giocava la guida del Governo con il Likud di Netanyahu, guidato dall’attuale ministro della Difesa Benny Gantz (aveva un patto di staffetta con Netanyahu per la premiership che il premier non ha voluto rispettare). Anche il superamento della soglia del Partito religioso sionista è in forse, e questo condizionerebbe di molto la possibilità di Netanyahu di formare un Governo.

Il contesto è dunque frammentato e l’esercizio principale dei commentatori politici israeliani è quello di individuare chi sarà l’ago della bilancia. Fra tutti spicca (il solito) Naftali Bennett, leader di una formazione che raggruppa partiti di destra che si chiama Yamina. Nato ad Haifa da genitori americani, Bennett è il prodotto della cosiddetta «start up Nation», come viene chiamato Israele per l’eccellenza nei settori tech e innovazione. Nel 2005 Bennett cedette la sua start up sulla cybersicurezza per 145 milioni di dollari ed entrò nello staff di Netanyahu. Vi rimase due anni poi, dicono, le sue continue liti con la first lady, Sara Netanyahu, lo spinsero a lasciare il team e cercarsi un altro posto nel cuore del premier. Bennett lo fece con grande abilità, alternando vicinanza e lontananza come succede spesso nelle alleanze politiche poco equilibrate. Ma ora ha deciso di giocare la partita da solo, rompendo la dipendenza dall’ex capo. E concedendo tante interviste sui media internazionali, specie americani, che non solo così esaltano il suo potere da ago della bilancia ma indispettiscono oltremodo Netanyahu, che è da sempre considerato «il più americano» dei leader israeliani (lo era anche prima della sua relazione speciale con Donald Trump).

Ora Bennett ha un obiettivo, oltre a un’agenda economica che punta sulla creazione di nuovi posti di lavoro e l’abbassamento delle tasse: rimpiazzare Netanyahu ma mantenere una «spina dorsale» di destra alla guida di Israele. Detesta Lapid e dice che non lo sosterrebbe mai, ma non sostiene nemmeno Netanyahu, quindi è come se fosse un candidato rivale, cioè un candidato premier pure lui. Non vuole più essere il secondo, insomma, e per questo Bennett riesce anche a criticare la campagna di vaccinazione di Netanyahu, con un argomento che suona terrificante: non siate troppo ottimisti, le somministrazioni vanno bene, ma se poi non c’è immunità alle varianti...

In realtà Bennett non è il politico che contende la popolarità a Netanyahu. Quello è Gideon Sa’ar, ex del Likud che ha provato a insidiare la leadership del mondo di destra del premier fondando Nuova speranza. Nei sondaggi Sa’ar è popolare ma poi dovrà mostrare capacità nella ricomposizione di un puzzle politico cui manca sempre un pezzo. In sostanza dalle urne uscirà ancora una volta la riconferma della preminenza delle forze di destra in Israele. Un altro elemento della normalità ritrovata, ma la formula di una coalizione funzionante è ancora da trovare. In passato Netanyahu si è sempre rilevato il più abile tra gli alchimisti, seppure sul breve periodo.