Un primo giorno senz’allegria

/ 21.09.2020
di Luciana Caglio

Più di ogni altra ricorrenza, imposta dal calendario civile o religioso, l’inizio dell’anno scolastico suscita emozioni spontanee e lascia un segno indelebile nella memoria. Soprattutto quando si tratta del primo giorno in assoluto. Proprio nell’aula della prima classe elementare, avviene, del resto, un passaggio, decisivo nella nostra crescita: dal limbo dell’infanzia alla consapevolezza di un giovanissimo adulto, in grado di apprendere, ragionare e ricordare. E così questa giornata, sempre più lontana, diventa un punto di riferimento stabile nella nostra storia personale, in cui si rispecchiano anche le condizioni ambientali del momento.

Nella mia personale esperienza, con quel primo giorno di tanti decenni fa rivive l’edificio color ocra delle elementari e maggiori comunali di Lugano centro, oggi demolito. Che fosse bello o brutto, funzionale o inadatto, poco m’importava. Quel che contava invece, come emerge appunto dalla memoria, era la vita in aula, dove avevo scoperto, da figlia unica, il piacere dello stare insieme, dell’amicizia, persino dell’ incontro con i «ragazzacci di Sassello», cresciuti in un quartiere, per così dire «off limits», rispetto alla Lugano piccolo borghese, da cui provenivo. Allora non si parlava d’integrazione, il socialese era di là da venire. A suo modo, però, la vecchia scuola pubblica la praticava già, moltiplicando le occasioni collettive e, in pari tempo, rispettose dell’individualità. Oltre alle lezioni, affidate alla capacità comunicativa di maestri, privi di supporti tecnologici (a parte un malandato proiettore di diapositive), il calendario scolastico prevedeva gite in battello, visite a mulini e fattorie superstiti nel contesto urbano e, naturalmente, i saggi di fine anno e fine ciclo con spettacoli, concerti, sfilate, aperti al pubblico, autorità politiche comprese. Dopo di che, la scuola trovava continuità con le colonie estive.

Comune denominatore, in tutte queste attività, l’esigenza di riunirsi per condividere le contrastanti emozioni provocate da successi o insuccessi, lungo un itinerario percorso con altri: insieme e vicini nella diversità potrebbero essere, al di là della retorica, le parole emblema di una scuola, a volte idealizzata. Com’è successo, negli ultimi mesi, quando il lockdown ha trovato proprio nella scuola la sua vittima più illustre. E chiacchierata. Scuole chiuse, scuole aperte, del tutto o parzialmente, insegnamento dal vivo o digitale, e via enumerando i temi più dibattuti sul piano mediatico e politico. Senza finire nel grottesco, com’è avvenuto in Italia, con la vicenda dei banchi a rotelle, anche da noi la scuola ha preso il via in un clima di incertezze e contraddizioni, con sfumature di ridicolo. Basta, insomma, un colpo di tosse o uno starnuto a turbare lo svolgimento di una lezione, comunque decurtata, per via delle nuove regole igieniche.

Ma, non sono queste le ricadute più preoccupanti della pandemia sul piano scolastico. È il clima psicologico, mentale, persino ideologico che concerne la scuola, di cui appunto il primo giorno è stato rivelatore. Celebrato, in sordina, senz’allegria. Insomma niente goliardia, del resto in disuso, ormai da decenni. E meno male, verrebbe da dire, ricordando il rito della matricola che sottoponeva il neofita a prove stupide e persino umilianti: anche scherzare è un’arte difficile. Festeggiamenti a parte, le restrizioni adottate nelle università se, si spera, salvaguardano la salute, d’altro canto creano difficoltà imbarazzanti. Come osservare la distanza negli studi di medicina dove il contatto fisico è determinante? La distanza rappresenta, infatti, il principale ostacolo nelle relazioni didattiche, fra docente e allievi e, non da ultimo, nei rapporti quotidiani fra gli studenti. Trovarsi di persona per confrontare opinioni o risultati di ricerche rimane un fattore insostituibile. Lo confermano le dichiarazioni dei diretti interessanti, studenti dell’università e del politecnico di Zurigo, pubblicate nel domenicale della NZZ, sotto un titolo ironicamente allusivo «Dov’è finita l’allegra vita studentesca?». Sarà più noiosa la condizione studentesca di oggi, però continua ad attirare. La popolazione universitaria ha toccato quota 260’000, un nuovo primato.