Un presidente azzoppato

/ 27.06.2022
di Paola Peduzzi

Emmanuel Macron sapeva che le elezioni legislative quest’anno sarebbero state un po’ amare, ma non così tanto. Il presidente francese è stato rieletto per il suo secondo mandato ad aprile: il fronte repubblicano contro la destra estrema si è coagulato attorno a lui, con qualche sopracciglio alzato in più rispetto alla prima volta di cinque anni fa, ma dando un mandato solido. Le legislative si preannunciavano complicate perché sul territorio i partiti tradizionali hanno un radicamento molto più forte rispetto a quanto avviene con le candidature alle presidenziali e perché il fronte anti Macron è molto largo e composito, tocca la destra estrema e la sinistra e lo slancio che c’era una volta non c’è più. Poi c’è ovviamente che è cambiato lo stesso Macron: non si resta «Jupiter» per sempre, certo, ma forse a questo giovane e ambizioso presidente difetta l’arte di sapersi adattare.

Ma andiamo con ordine. La coalizione macroniana Ensemble ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti all’Assemblea nazionale, ma deve fare alleanze per governare. La coalizione Nupes, che unisce socialisti, verdi, estrema sinistra ed è guidata da Jean-Luc Mélenchon è arrivata seconda e questo fa credere allo stesso Mélenchon di avere il diritto di essere nominato primo ministro e avviare una coabitazione con Macron (Mélenchon dice di essere sempre a casa seduto accanto al telefono in attesa della chiamata presidenziale, un’immagine che più retrò di così non si potrebbe). Il Rassemblement National di Marine Le Pen ha ottenuto un risultato insperato e storico e avrà un gruppo parlamentare di peso, cosa che naturalmente spaventa: finora la Francia ha sperimentato il cordone sanitario contro l’estremismo di destra soltanto alle presidenziali, qui si tratta di vita quotidiana parlamentare, tutto un altro mestiere, tutto un altro equilibrio. E infine i neogollisti che alle presidenziali hanno toccato il loro fondo con il 5 per cento dei consensi sono invece andati bene, hanno un bottino di seggi che potrebbe dare a Macron la maggioranza che gli serve, ma i Républicains hanno deciso che questa alleanza non la vogliono fare: forse aspettano di alzare di più la posta o forse hanno davvero deciso di voler vedere come se la cava questo presidente con un governo di minoranza.

E qui veniamo a Macron, che ha sottovalutato queste legislative come in realtà hanno fatto molti: si pensava che il secondo turno sarebbe stato più generoso con la coalizione macroniana che, presuntuosa, non ha visto che il mondo antimacroniano si stava risollevando. Si tratta di un mondo composito ma molto agguerrito, che vuole costringere il presidente a un dialogo e a un atteggiamento più compromissorio che lui invece rifiuta. Chiede responsabilità ai partiti, manda avanti i suoi emissari per cucire insieme una alleanza che possa funzionare in modo organico o altrimenti dice che procederà dossier per dossier, costruendo alleanze nuove di volta in volta. Ma, dice Macron, se si deve trovare un modo nuovo di governare, lui non ha intenzione di cambiare il suo approccio e il suo modo di fare il presidente. Ed è per questo che in coro i partiti che vedono finalmente l’opportunità di far pesare il loro consenso rispondono: l’arroganza di Macron deve finire, altrimenti qui non si fa più niente.

Il confine tra determinazione e arroganza è sempre labile e lo è ancora di più nel caso di Macron che con il tempo ha perso il suo carattere di outsider dal basso – il progetto di En marche era appunto una marcia popolare per cambiare le istituzioni e i palazzi – ed è diventato sempre più avulso dalla realtà. Più che l’arroganza è questo il problema che deve risolvere Macron in questo suo nuovo mandato: è costretto ad adattarsi a una nuova realtà, senza perdere il suo istinto riformatore ma senza contare esclusivamente sull’enorme potere che comunque il sistema francese riserva al suo presidente. Questa è la sfida più difficile per lui: nel primo mandato ha dato segnali contraddittori sulla sua capacità di adattarsi. Un esempio: ha inventato i débats per tornare a parlare direttamente ai francesi dopo le proteste dei gilet gialli, ma si è fatto al contempo sempre meno accessibile anche ai suoi stessi collaboratori. Sarebbe utile che il presidente si allenasse nell’arte dell’adattamento, dandosi obiettivi chiari e dandoli anche alle altre forze con cui deve in qualche modo dialogare.