Gentile Silvia,
la leggo ogni volta e sento tanta fiducia in lei da confidarle quello che non ho mai detto a nessuno, neppure a mia moglie. Sono un figlio adottivo e, come tale, ho vissuto una giovinezza più difficile degli altri. Non so niente dei miei genitori naturali perché sono stato adottato a tredici mesi e, nonostante i miei genitori adottivi siano stati bravi, mi è sempre mancato qualcosa. Soprattutto mio padre non è mai stato affettuoso e ha preteso il massimo da me che, per paura di deluderlo, non mi sono mai rilassato.
Dopo parecchie storie sentimentali andate male perché, nel timore di essere lasciato, le troncavo prima io, ho conosciuto quella che è adesso mia moglie. Una donna pragmatica, poco sensibile, ma brava e responsabile. Insicuro delle mie capacità paterne, non volevo figli ma, per accontentarla, ho acconsentito ad averne uno ed è nata mia figlia, dopo una gravidanza e un parto difficilissimi. Per fortuna la bambina è sana, nonostante sia portatrice di una grave malattia genetica. Quando, appena nata, me l’hanno messa in braccio e ci hanno lasciati soli, ho provato l’impulso terribile di abbandonarla, di dire all’infermiera: «portatela via!». Non finirò mai di pentirmi di quell’intenzione, anche se ora le voglio un bene dell’anima. Spero che lei mi aiuterà a perdonarmi. Grazie. / Marco
Caro Marco,
ha tutta la mia comprensione e, per quanto ne sia capace, proverò ad aiutarla facendo tesoro, non solo degli studi e dell’esperienza professionale, ma soprattutto della mia vita.
Anch’io, affidata appena nata a una balia, ho incontrato i miei genitori anni dopo, per cui l’esperienza psicologica dell’adozione non mi è estranea. E so che non è facile superare la paura dell’abbandono e dell’inadeguatezza. La mente infantile tende infatti a generalizzare per cui pensa: «se sono stato abbandonato una volta, posso esserlo ancora». E, quando non riesce a essere all’altezza delle aspettative dei genitori, il suo egocentrismo la spinge a concludere: «è colpa mia».
È comunque un tentativo di spiegazione di fronte a una situazione che, per certi versi, resta enigmatica. Le esperienze della prima infanzia sono comunque determinanti nel costruire la nostra personalità e nel plasmare il nostro rapporto con la realtà.
L’adozione, in quanto presuppone un abbandono, costituisce una esperienza traumatica che si può superare, ma mai completamente nella misura in cui noi siamo la nostra storia.
La sua insicurezza spiega pertanto sia gli insuccessi sentimentali, sia la resistenza a diventare genitore assumendo un ruolo paterno vissuto, in quanto figlio, in modo più o meno negativo. Se il padre naturale non è stato capace di essere tale, quello adottivo non ha trovato la giusta misura e, esigendo troppo da lei, non le ha permesso di ottenere l’autostima che merita.
È accaduto così che, accogliendo tra le braccia la figlia appena nata, in una occasione di straordinaria intensità emotiva, tutto il suo passato si sia ripresentato nella modalità persecutoria per cui era stato accantonato. Che fare? In questi casi l’inconscio agisce in automatico: cerca di vivere attivamente ciò che ha vissuto passivamente: sono stato abbandonato, reagisco abbandonando. Non è una soluzione e la coscienza lo sa, tanto che di fatto quell’impulso non ha avuto seguito, quel pensiero è rimasto lettera morta. Di fronte a una tentazione, che avrebbe potuto essere irresistibile, lei si è comportato nel modo migliore che ci sia concesso, nel più umano, nel più civile. Si è detto: «sono un essere razionale e agisco da persona ragionevole».
Dei nostri impulsi inconsci, così come dei nostri sogni, non abbiamo alcuna responsabilità, nessuna colpa. La differenza tra una persona buona e una persona cattiva, è che la prima si limita a pensare ciò che l’altra mette in atto.
Lei, caro Marco, è un’ottima persona e il travaglio interiore che ha vissuto, sta elaborando e condividendo, la rende senz’altro migliore, più sensibile, comprensivo e compassionevole rispetto a chi non ha mai fatto i conti con se stesso, con la complessità della nostra vita interiore. La sua bambina è fortunata ad avere un padre come lei, un padre che l’ama «con tutta l’anima», come conclude la sua lettera. Auguri di ogni bene a lei e alla sua bella famiglia. Ve lo meritate.