Un mestiere pericoloso

/ 05.03.2018
di Franco Zambelloni

Il giorno di San Valentino, in un liceo della Florida, si è verificato uno dei peggiori fatti di sangue degli ultimi anni: un giovane di 19 anni entra nel campus armato di un fucile automatico, fa scattare l’allarme in modo che tutti si precipitino fuori dell’edificio e spara all’impazzata facendo 17 morti e 14 feriti. Un gesto di follia? Può darsi (ci penseranno gli psicoterapeuti a elaborare il profilo patologico dell’attentatore, adducendo tutte le attenuanti del caso); quel che è certo è che si è trattato di una rabbiosa vendetta. Il diciannovenne era un ex studente espulso dall’istituto per problemi disciplinari: a modo suo, ha fatto giustizia.

Il caso è clamoroso, ma ce ne sono altri, meno sconvolgenti, che pure costituiscono segnali inquietanti di un declino aberrante. In Italia, sempre nel febbraio di quest’anno: in un Istituto Commerciale di Caserta uno studente diciassettenne estrae un coltello a serramanico e sfregia il volto dell’insegnante davanti a tutta la classe. Il motivo? L’insegnante voleva interrogarlo, lui si è rifiutato; il docente, allora, gli ha assegnato una nota di biasimo disciplinare (la seconda in due giorni) e il ragazzo si è vendicato. Ancora: a Foggia, l’11 febbraio, un ragazzo di Scuola Media viene rimproverato per cattiva condotta; il giorno dopo il padre dell’allievo aggredisce il vicepreside davanti ad altri genitori.

La scuola sta diventando un luogo pericoloso e il mestiere dell’insegnante una professione a rischio. Nel nostro Cantone le cose, almeno per ora, non fanno registrare casi così allarmanti; però, anche qui si moltiplicano i segnali che indicano quanto la professione diventi sempre più difficile. Nel gennaio di quest’anno appariva la notizia di un docente di liceo messo sotto inchiesta dal DECS perché denunciato per battute irrispettose nei confronti di un allievo. Lo stesso mese una maestra di scuola elementare veniva denunciata e sospesa per avere legato le gambe ad un’allieva per farle tenere una posa corretta. Nel marzo 2016 una maestra veniva sospesa dall’insegnamento perché accusata di «comportamenti maneschi»; per quel che ne so, non è poi risultato nulla a suo carico, ma la sospensione si è prolungata in attesa di una decisione governativa.

Non stupisce, dunque, che le ricerche statistiche segnalino sempre più frequentemente la condizione di stress e di disagio dei docenti: già nel 2003, in Italia, un’inchiesta rivelava la crescita vertiginosa del numero di insegnanti che, in preda all’ansia e alla frustrazione, dovevano fare ricorso a psicofarmaci o cadevano in burnout. In Ticino, nel 2013, il Consiglio di Stato ha lanciato un progetto di sostegno per insegnanti in difficoltà. Uno studio della SUPSI rilevava, nel 2015, l’onda crescente di docenti stanchi, demotivati, spinti ad abbandonare precocemente un mestiere che probabilmente non era più quello da loro iniziato molti anni prima. L’età del pensionamento è scesa, in quattro anni, da una media di 64 anni a 61; e sempre più numerosi sono gli insegnanti che non reggono il tempo pieno e scelgono un impiego parziale. Nel 2017 un altro studio commissionato dal DECS rilevava che l’8 per cento dei docenti presentava sintomi di burnout: dato allarmante, perché un docente stressato può magari reagire impulsivamente alle strafottenze e all’indisciplina degli allievi, col rischio di passare così dall’aula scolastica a un’aula di tribunale.

Certo, sono molti i fattori che rendono più difficile, oggi, questa professione: il groviglio delle direttive pedagogiche e didattiche, la scomparsa dell’autorità, la responsabilità educativa sempre più delegata dalle famiglie alla scuola, la perdita del prestigio sociale un tempo legato alla figura del docente, la burocrazia scolastica in aumento. Ma l’aspetto più problematico sta nell’assenza di un codice di comportamento corretto per gli allievi e nella mancanza di misure disciplinari in caso d’infrazione. Nella condizione attuale, l’allievo può permettersi di fare tutto quello che vuole; il docente non può permettersi nulla. I ruoli si sono rovesciati.

Negli anni Sessanta veniva trionfalmente proclamata la pedagogia antiautoritaria; anni dopo, lo stesso Benjamin Spock – uno dei suoi massimi profeti – ritrattò clamorosamente molte delle sue tesi. Ma di fatto, direi che è proprio questa la visione pedagogica che si è imposta, almeno per ora. Adesso, negli USA, per contrastare la violenza nelle scuole Trump ipotizza di consegnare armi agli insegnanti: sarà questa la pedagogia del futuro?