Un libro pieno di segreti fruttati

/ 06.02.2017
di Bruno Gambarotta

Torino è ricca di musei ma il più originale e forse unico al mondo è «Il Museo della Frutta» che presenta la collezione di mille e più «frutti artificiali plastici» modellati nella seconda metà dell’Ottocento da Francesco Garnier Valletti, nato a Giaveno (provincia di Torino) nel 1808 e morto a Torino nel 1889. È stato un impareggiabile virtuoso della tecnica «cero plastica» con la quale riprodusse con maniacale precisione fiori e frutti, chiamato per chiara fama a Vienna dall’imperatore d’Austria e a San Pietroburgo alla corte dello Zar. Nel museo si trovano 501 varietà di pere, 295 di mele, 56 di albicocche, oltre a pesche, susine, uve.

Molte cultivar si sono nel frattempo estinte e questa è l’unica documentazione visiva rimasta. Ne scrivo qui per esortare i lettori a visitare il museo e per raccontare qualcosa su questo singolare personaggio poiché è riemerso dagli archivi un suo calepino manoscritto di ben 700 pagine che Stefano Benedetto, direttore del museo, ha fatto trascrivere. È una summa delle conoscenze popolari dell’Ottocento, soprattutto in campo medico ed agricolo, un testo che avrebbe di sicuro fatto gola al compianto Piero Camporesi, infaticabile esploratore di questo genere di letteratura. Ricordiamo tra i tanti suoi titoli Il pane selvaggio e Il libro dei vagabondi. La casa editrice Il Saggiatore ha in progetto la ristampa di tutte le sue opere.

Francesco Garnier Valletti era un infaticabile autodidatta e scriveva in un italiano colorito e traballante, ricco di piemontesismi. Perciò nel trascrivere qualche ricetta, scelta fra le più curiose, mi sono permesso di fare talvolta un lavoro di editing. Dalle prescrizioni di medicina popolare si può inferire di quali mali soffrissero con maggiore frequenza i suoi contemporanei: infezioni, tagli, ferite, bubboni, bruciature. La colica si cura «con una bevanda a base di escremento di bue fresco, un po’ di zucchero o miele». Con una raccomandazione forse pleonastica: «si dà al malato che non lo sappia». In caso di emorragie ecco un rimedio semplice e a portata di mano: «per sedare il sangue usare la bava di rana in calore». Non spiega come si distingue la rana in calore da quella frigida. Altro malanno frequente: «Con tre castagne d’India in tasca le emorroidi scompariranno senza accorgersene».

Ritornano con frequenza prescrizioni, ogni volta diverse, per «far sparire le lentiggini dalla faccia». Eccone una: «Si uccide una gallina bianca e si prende il sangue di detta gallina; si unge il viso o dove sono le lentiggini, si lascia seccare e le lentiggini spariscono». Leggo la ricetta dell’elisir di lunga vita a base di aloe e penso al dottor Dulcamara di Donizetti; chissà se il Nostro ha mai assistito a una rappresentazione de L’elisir d’amore. Come sollievo della martellante pubblicità di cibi per cani: «Se si vuole che un cane non abbandoni mai il suo padrone, si metta della mollica di pane sotto le ascelle prima di andare a letto e la si tenga tutto il giorno seguente in modo che s’impregni del sudore e dell’odore, poi la si dia da mangiare al cane che così mai abbandonerà il suo padrone». Vorrei vederli i nostri cani viziati dalle crocchette bio, che mangiano quella mollica.

Francesco Garnier Valletti, da una parte appunta «mille accorgimenti per far buon vino o champagne» o il «Rum artificiale» e anche i «1700 grammi di zucchero per ettolitro di vino per farlo salire di un grado», dall’altra suggerisce i rimedi per scoprire l’adulterazione: «Per conoscere se il vino è colorato con materie coloranti si mette una fetta di pane nel vino e la si lascia mezz’ora. Si estrae e si mette nell’acqua. Se il vino è naturale ci vogliono almeno dieci minuti perché l’acqua si colori. Se succede subito è la prova che il vino è stato adulterato». Francesco Garnier Valletti dà il meglio di sé quando si dilunga sugli accorgimenti per la coltivazione della frutta, dall’impegno a «combattere la Fillossera che distrugge le viti», al rimedio «per distruggere i calabroni che attaccano i frutti sugli alberi: cuocere una frittata con uova e noce vomica ridotta in polvere, metterla in un piatto dove passano i calabroni che ne sono ghiotti, la mangiano e muoiono». C’è anche spiegata nel dettaglio una tecnica «per trovare l’acqua un mattino d’estate» e di conseguenza il posto dove scavare un pozzo.

Trascrivendo il taccuino c’era la speranza, andata delusa, di trovarvi la spiegazione delle tecniche impiegate dall’autore per ottenere le sue stupefacenti copie più vere del vero di ogni varietà di frutta. Si trova solo qualche riferimento ai materiali, come quest’appunto del 5 marzo 1858: «Frutti artificiali si fanno con polvere d’alabastro sciolta nella cera, nel miele e nella gomma damar». (È una resina naturale di origine vegetale, usata dai restauratori). Poco dopo annota, il 20 novembre dello stesso anno: «Morrò senza palesare il mio segreto per imitare le uve se non sarò compensato onestamente». È consapevole dell’importanza del suo taccuino. Annota: «Questo libro è preziosissimo e non trovasi il compagno con tanti segreti».