Parco Ciani, la mattina presto, nel giorno della sua riapertura. Per due mesi, là dentro, tutto è accaduto lontano dai nostri sguardi. Erbe, fiori, cespugli e alberi hanno danzato in incognita tra le albe e i tramonti. Un paesaggio nuovo mi viene incontro, liberato dai suoi ordinati disegni, sempre troppo addomesticati da una certa visione della bellezza. Così, la splendida Foce mi accoglie con una luce nuova, a illuminare un’inattesa, e un po’ magica esplosione della vita. Tanti piccoli arbusti si erano impadroniti dei nostri passaggi. Fragili nel vento, erano saltati fuori come dal nulla, squarciando impercettibili spiragli sul sentiero di legno che accoglie il nostro camminare.
Gli spazi ci parlano e ci sorprendono, bisogna imparare ad ascoltarli. Queste nuove geometrie, un po’ ribelli e trasgressive, hanno evocato in me il volto della speranza che sempre muove e alimenta la vita. Quella speranza sbocciata da sotto la sabbia mi ha parlato di un sentimento che ci interpella, oggi più che mai, quando ci chiediamo come saremo dopo.
La speranza è un sentimento forte, di adesione e di fiducia nella vita, ma è un sentimento che sa custodire, ed anche accogliere, le nostre fragilità e incertezze. E questo perché è sempre intrecciata con la paura: la paura che ciò in cui speriamo possa anche non accadere. Ce lo ricorda bene Esiodo nel racconto del vaso di Pandora, la bellissima creatura che trasgredì il divieto di Zeus, e lo aprì, e sparse fra gli uomini tutti i mali. Nel vaso restò solo il Timor del futuro, ovvero la speranza. Esiodo racconta come una presenza inquietante andasse errando tra gli uomini e come la speranza che tutti questi mali non si realizzassero, rimasta da sola rinchiusa nel vaso, fosse tutta intrisa di timore.
Questo intreccio di sentimenti tanto contrastanti, come lo sono la speranza e la paura, è stato spesso rappresentato, nella storia del pensiero, come un limite della condizione umana.Era così per gli stoici: saggio è colui che sa vivere senza speranza e senza paura, adeguandosi con distacco all’ordine razionale dell’universo.Ed era così anche per Spinoza: letizia incostante, chiamava la speranza, e tristezza incostante, la paura.
Questo limite a me pare tuttavia l’espressione più autentica della nostra umanità. Un limite che è anche la sua forza, proprio perché il nostro vivere dentro questo delicato intreccio è un invito a riconoscere e ad accogliere ogni incertezza che si disegna all’orizzonte come una bella opportunità.
In questi mesi siamo stati messi alla prova, e abbiamo capito, forse, come sia necessario imparare anche ad attendere ciò che è inatteso. «L’atteso non si realizza, all’inatteso un dio apre la strada»: con queste parole di Euripide, Edgar Morin, straordinario interprete del nostro tempo, ricorda spesso come tutto ciò che abbiamo atteso, nella storia, non si sia mai realizzato.
Messi alla prova, abbiamo anche compreso l’importanza di riuscire a vedere il «non ancora visto». Non quello che abita un altrove di luoghi sconosciuti ma, al contrario, quello che nutre silenzioso e invisibile i panorami più consueti e familiari del nostro vivere.Riuscire a vedere il non ancora visto: qui la speranza può mostrare il suo sguardo più intenso e diventare utopia, un luogo che ancora non c’è, ma che già esiste.
Quanti «non-ancora» sono già presenti in ciò che è? Quanti mondi possibili ci attendono, o non ci attendono, dopo? Sono domande ineludibili, oggi, e sono tutte nutrite dalla speranza, che non si limita certo ad essere una pia illusione, ma diventa invece l’orizzonte in cui far affiorare nuovi scenari possibili. Diventa utopia. Perché l’utopia non è mai un sogno irrealizzabile ma sempre un approdo, uno spazio di senso che già abita in noi. Come saremo dopo? Come vorremo o potremo essere? La speranza non sa dare risposte; sa solo esserci, sostare, danzare nell’animo come preziosa compagna di viaggio.
Quanto alla necessità di rinunciare alle certezze navigando sulle rotte della speranza, ecco le straordinarie parole del poeta Fernando Pessoa: «Di tutto restano tre cose: / la certezza/ che stiamo sempre iniziando / la certezza / che abbiamo bisogno di continuare/ la certezza / che saremo interrotti prima di finire. / Pertanto, dobbiamo fare: / dell’interruzione, / un nuovo cammino, / della caduta, / un passo di danza, /della paura, / una scala, /del sogno, / un ponte, / del bisogno, / un incontro».