Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo(at)azione.ch


Un futuro dopo l’abbandono

/ 11.09.2017
di Silvia Vegetti Finzi

Leggo da anni la «Stanza del dialogo» convinta che i problemi affrontati riguardino solo gli altri.
Mi ritenevo, infatti, una donna felice sino a quando un fulmine a ciel sereno mi ha gettato nella disperazione più nera. Il mio caro marito, senza un perché, mi ha abbandonata. Ricominciando a vivere da sola, mi trovo a proseguire il cammino della vita senza sapere che cosa mi aspetti e come agire giorno per giorno. Non ho nessuna esperienza che mi orienti, nessuna voce amica che mi guidi. Al mattino mi sveglio e, guardandomi intorno, mi chiedo: «che cosa devo fare?». Mi accorgo così che avevo delegato a lui la mia vita. Mi ero sposata giovane, a ventidue anni, con un uomo che ne ha quindici più di me e che da allora è stato per me padre, madre, fratello e amico. Può immaginare quanto ora mi manchi e come mi senta disorientata senza la sua guida.
I miei sentimenti sono in tumulto: alternativamente lo odio e lo amo, lo rimpiango e lo detesto, vorrei che fosse qui e un momento dopo mi auguro di non vederlo mai più. Come posso uscire da questo conflitto e soprattutto come posso evitare in futuro di soffrire così? / Clelia

Cara Clelia,
ha tutta la mia comprensione per la difficile esperienza che sta vivendo. Tra le tante prove che il destino ci riserva l’abbandono è forse la più dolorosa e, prima di superarla, sembra anche la più inutile e assurda. Ma in verità non è così perché, quando la tempesta si è placata ed è possibile riconsiderare il passato con uno sguardo spassionato, ci avvediamo che quel travaglio ci ha reso più maturi, più consapevoli dei valori veri, più capaci di ascoltare noi stessi e gli altri, meno coinvolti nelle piccole questioni quotidiane. Se un cuore spezzato guarisce diventa più forte.

Ma per raggiungere lo scopo occorre un impegno forte e coraggioso che consenta di non rimanere intrappolati nelle sabbie mobili della depressione. La prima mossa consiste nel tenere ferma la méta del futuro, nell’imporsi di procedere, di andare avanti. Non si tratta quindi di «evitare di soffrire» ma di riacquistare la capacità di amare e di essere amati. Senza rischi la vita si riduce a mera sopravvivenza.

Per fortuna nessuno è così solo da non disporre del conforto della cultura e dell’aiuto degli altri. La cultura nasce come forma di consolazione: le prime produzioni artistiche sono state, nella notte dei tempi, le lapidi poste sopra le tombe per contrastare la morte e il lutto. E oggi abbiamo a portata di mano un patrimonio artistico – musica, poesia, arti visive – capace di lenire le nostre ferite con il farmaco della bellezza. Viviamo inoltre a contatto con gli altri ed è a loro che possiamo, come lei ha fatto scrivendoci, chiedere aiuto e conforto.

L’importante è non chiudere prematuramente le porte al dolore, saper stare nel dubbio, nella contraddizione, nel conflitto sino a metabolizzare le tossine dell’anima e ritrovare la voglia di vivere e di amare. Verrà il momento in cui, voltandosi indietro, perdonerà gli errori e riconoscerà gli aspetti positivi del suo matrimonio e sarà grata a suo marito per esserle stato «padre, madre, fratello e amico». Può darsi che, terminato il suo compito, abbia voluto lasciarla libera di divenire se stessa, magari diversa da come lui l’aveva immaginata. Non per questo suo marito è svanito del tutto, continuerà a starle vicino se lei non interrompe il dialogo che vi ha uniti.

Ma non deve aver fretta, l’elaborazione del lutto non consente la logica istantanea della comunicazione informatica. Ci vuole tempo per disporsi ad amare ancora, non perché ne abbiamo un disperato bisogno ma perché, avendo superato la dipendenza infantile, siamo ora in grado di dare e ricevere liberamente. Tuttavia mente e cuore non procedono insieme perché i pensieri sono più veloci dei sentimenti. Rischiano però di girare a vuoto se non si sintonizzano con le emozioni riparatrici: la rabbia che ci fa reagire all’indifferenza, la tristezza che favorisce l’introspezione, la paura che ci rende consapevoli della nostra vulnerabilità, il commiato che consente di abbandonare le speranze del passato e inaugurarne di nuove. Buon futuro, cara amica.