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Un figlio rimasto «bloccato»

/ 28.06.2021
di Silvia Vegetti Finzi

Cara Silvia,
scusa se ti do del tu ma dopo tanto tempo che leggo la tua rubrica e discuto tra me e me i tuoi suggerimenti, ti considero un’amica. Ora passo dal leggerti allo scriverti perché mi sento profondamente in crisi. Siamo una famiglia come tante altre (marito, moglie, due figli maschio e femmina, Aldo e Lucia, di 16 e 18 anni), una famiglia senza troppi problemi, unita e serena, almeno prima del Covid. Questo demonio ci ha messo in crisi rivelando una fragilità che non avevamo mai sospettata. Le lezioni a distanza sono state accettate male da tutti e due i ragazzi. Stare in casa tutto il giorno, abituati com’erano a girare in bici per salutare gli amici, praticare sport, seguire spettacoli, fare viaggi, incontrarsi per una pizza…, hanno preso male gli «arresti domiciliari». Ma credevo che tutto sommato se la fossero cavata. Lucia infatti sta riprendendo la vita di prima mentre Aldo è rimasto bloccato: non vuole uscire, non vede gli amici, si rifiuta di riprendere lo sport, sta tutto il giorno rintanato in camera sua (in tuta) davanti al computer. Io e mio marito l’abbiamo spronato, sgridato, gli abbiamo offerto di fare un viaggio, di programmare le vacanze, di invitare degli amici ma non c’è stato niente da fare. Siamo confusi e demoralizzati e chiediamo qualche consiglio per capire e, se possibile, intervenire positivamente. Grazie Silvia. / Marirosa

Cara Marirosa,
innanzitutto grazie per la fiducia che mi accordi ma ti confesserò che anche gli «esperti» sono confusi. In fondo è la prima volta che – non nella storia dove molti ricordano ancora la «spagnola» – ma nella nostra vita affrontiamo circostanze così travolgenti. Dalla primavera scorsa il tempo è rimasto sospeso e molti orologi dell’esistenza sembrano, come quello di tuo figlio, essersi fermati. Che cosa paralizzi Aldo rimane enigmatico ma spesso ciò che non si vede disturba la nostra mente più del visibile. Molti giovani, in tutto il mondo, sono colpiti da stati d’ansia, turbe di umore e di comportamento. Le restrizioni e le rinunce sono state così dure e prolungate da risultare a loro intollerabili.

L’assenza dalla scuola non ha penalizzato tanto l’apprendimento, che si può sempre rimediare, quanto le occasioni di incontro e di confronto tra coetanei, la condivisione di interessi e di passioni, le opportunità di amicizia e di innamoramento, queste sì difficili da recuperare. La causa più grave dell’attuale disagio è stata probabilmente la paura di soffrire. In fondo questa generazione, amata, protetta, accontentata in tutto per tutto, non aveva mai affrontato il dolore, non era stata vaccinata contro la sofferenza e le improvvise restrizioni l’hanno trovata impreparata. Ora inconsapevolmente cerca, con sintomi fisici, psichici o di comportamento di rendere visibile e condivisibile il suo malessere. Paradossalmente vostro figlio cerca, isolandosi, rifiutando contatti e aiuti, di esprimere il suo disagio ma, mentre vi respinge, vi chiama. Credo che l’intervento del padre o di altre figure paterne, come il professore più influente, l’allenatore, il sacerdote che si occupa dei giovani, sarebbe opportuno perché a quell’età si cercano riferimenti autorevoli, testimoni credibili. La Scuola non può far finta di niente perché tutto ciò che ostacola l’educazione e la formazione degli allievi la riguarda.

Non si tratta tanto di convincere Aldo che non c’è ragione di rinunciare a vivere, né di subissarlo con ricette, consigli e avvertimenti attendendosi che da un giorno all’altro tutto torni come prima. Si tratta piuttosto di ammettere le privazioni e le perdite, di imparare a sostare nella sofferenza, a far buon uso di lievi stati di depressione. Ogni giorno la pubblicità cerca di indurci, con mille suggestioni, a vivere in un perenne stato di euforia, senza mai smettere di sorridere a 32 denti, far saltellare, ridere e canticchiare.

Ma non è così e non tutti sono in grado di recitare questo copione. Aldo di sicuro no. Probabilmente il suo temperamento malinconico rifugge la maniacalità e si racchiude piuttosto in se stesso facendo muro con la sua fragilità. Non sentitevi in dovere, per aiutarlo, di adottare atteggiamenti allegri, di emanare positività a tutti i costi, esprimete piuttosto i vostri problemi, le vostre incertezze, le vostre ansie: il ragazzo si sentirà meno solo. Non dobbiamo considerarci falliti solo perché siamo in crisi e ci sentiamo «scarichi» ma attendere e resistere sostando nel disagio. Le difficoltà della vita chiedono tempo per essere superate ma, se sono state elaborate e assimilate, costituiscono una buona base da cui ripartire. Certo è difficile convincere persone che non hanno mai imparato ad attendere, del tutto ignare che nel palazzo dell’esistenza la sala d’aspetto è quella più grande.