Gentile Professoressa,
ho solo sedici anni e non so come risolvere da sola un problema che non mi fa dormire. Giorni fa io e mia sorella Olga, di 18 anni, eravamo rimaste a casa sole, una villetta isolata, perché papà e mamma erano dalla nonna paterna per ristrutturare l’appartamento dove trascorriamo le vacanze.
Una di quelle notti in cui i nostri genitori erano via, sono stata svegliata da Olga che rientrava in moto con il fidanzato, un ragazzo che ha cinque anni più di lei. Quando l’ho vista, sono rimasta senza fiato: aveva la faccia gonfia e l’occhio destro era così livido che non si vedeva neanche più. Sono subito uscita dal cancello e, dato che lui era ancora lì, gliene ho urlate di tutti i colori. Non mi chieda che cosa ho detto perché erano frasi irripetibili e molte non me le ricordo nemmeno. Ma lo scontro più forte è stato con Olga che continuava a giustificarlo: lei non aveva fatto niente ma lui, per alcuni sguardi e apprezzamenti lanciati da estranei, si era così ingelosito da diventare furibondo e prenderla a sberle e pugni. Avrei voluto raccontare tutto ai nostri genitori, ma Olga mi supplica di star zitta perché non sa come potrebbe reagire nostro padre che si fa subito prendere dalla collera. Gli abbiamo raccontato che è stato uno scontro in motorino e, poiché c’ero io a testimoniarlo, lui ci ha creduto. La cosa si chiuderà qui? Non so che pesci pigliare, cosa devo fare? / Giusi
Cara Giusi,
fai bene a non chiudere la questione. L’esperienza mi ha insegnato che questi individui non si fermano al primo gradino dell’aggressività ma li scalano tutti finché non interviene un provvedimento a bloccarli. Tua sorella sta correndo un grosso pericolo: l’incapacità di ammettere la colpa del ragazzo, la confusione tra botte e amore, il fatto di assumere la posizione della vittima sacrificale, la rendono inerme di fronte alla prepotenza del partner. Senza evocare gli estremi del femminicidio, sappiamo che la maggior parte delle violenze sulle donne avvengono in famiglia, tra congiunti.
Ora il ragazzo di Olga non è ancora un fidanzato in senso tradizionale ma potrebbe divenire tale e successivamente assumere il ruolo di marito e padre. Una spirale che aggrava anziché risolvere la situazione. In questi casi, prima s’interviene meglio è. Sei ancora una ragazzina e non spetta a te assumere responsabilità che competono agli adulti, ai genitori innanzitutto. Ciò non toglie che sia giusto continuare a parlarne con Olga, cercando di convincerla a uscire al più presto da una storia che minaccia sventure.
Mi pare di capire che, a confidarvi con i genitori, vi frena la paura che vostro padre reagisca in modo incontrollato e può darsi che abbiate ragione, ma c’è sempre vostra madre. Perché non raccontare a lei come sono andate le cose? Temete sia così sottomessa da parlarne subito col marito autorizzandolo a reagire d’impulso all’offesa morale e fisica subita dalla figlia?
Se così fosse, rivolgetevi insieme, tutte e due, a una persona solida e autorevole come potrebbe essere un o una parente, il medico di famiglia, lo psicologo della Scuola. L’importante è che non vi chiudiate nella vostra angoscia, che non vi fate ricattare dalla morale secondo cui «i panni sporchi si lavano in famiglia». Posso testimoniare che raramente un uomo violento si controlla da solo e che chi gli vive accanto rischia un’esistenza d’inferno. In particolare dobbiamo salvaguardare i figli condizionati, non necessariamente ma in molti casi, a ripetere i comportamenti paterni.
Siete due ragazzine e avete la vita di fronte a voi, non lasciatevi scippare la giovinezza da una prevedibile altalena di attacchi e richieste di perdono. Parlo al plurale perché in questi casi, come vedi, tutta la famiglia resta coinvolta dal dolore di uno o una di loro.
In generale, visto il dilagare di violenze di genere emerse e sommerse, sarebbe il caso di parlarne nella Scuola, di convincere le ragazze, spesso illuse dal «sogno d’amore», a difendere innanzitutto la loro integrità e dignità. Un appello anche alle madri d’intemperanti figli maschi, troppo spesso considerati vivaci buontemponi, goliardi un po’ irruenti, perché prendano atto che la violenza non è mai giustificabile.