Ogni anno nuovo porta con sé una cospicua dote di anniversari, che ciascuno avrà modo di giudicare se significativi, e dunque degni di figurare nell’album dei ricordi, oppure no. Già sin d’ora, per deformazione professionale, ci permettiamo di segnalare la marcia su Roma, nell’ottobre del 1922. Alla data mancano ancora diversi mesi, ma c’è da scommettere che il centenario infiammerà gli animi, e non soltanto nell’opinione pubblica della penisola. L’eredità del ventennio nero, le sue ripercussioni sul destino della nazione, delle famiglie e dei singoli brucia ancora nelle coscienze, come testimoniano le ricorrenti polemiche sulla figura del Duce (v. l’opera ponderosa di Antonio Scurati) e sulle imprese del regime fascista, tuttora ritenute «buone» da larghi strati di nostalgici. Un retaggio del genere non si cancella da un giorno all’altro, derubricandolo sotto la voce «follia» di un megalomane. Il tribunale della Storia ha emesso la sua sentenza di condanna, ma non tutti la accettano; anzi, molti, all’interno della galassia neofascista, la considerano arbitraria e quindi da ricusare.
Sarà quindi di nuovo acceso il dibattito politico in vista di quell’appuntamento con il calendario, con le relative ricadute in campo elettorale. E non solo in Italia. Infatti il fenomeno fascista scavalcò le frontiere per irradiarsi in tutta la Confederazione, appoggiandosi ai movimenti e ai partiti che consideravano decrepita la democrazia e inetto il governo centrale. Il successo delle dittature in Europa aveva aperto, secondo i suoi seguaci elvetici, un’era nuova, guidata da uomini energici e carismatici. Anche a sinistra, con gli occhi rivolti a Stalin, il «padre dei popoli», la democrazia era un agnello da sacrificare sull’altare della costruzione del socialismo.
Il fascismo s’insinuò nel canton Ticino fin dai primi anni Venti, attraverso i canali della stampa e delle rappresentanze consolari debitamente indottrinate. L’attività propagandistica fu capillare, ma molte simpatie per il fascismo germinarono spontaneamente, frutto del fascino che il Duce esercitava tra i politici, i giornalisti, gli ecclesiastici e gli intellettuali meno saldi nel loro lealismo elvetico. Insomma, erano simpatie vere, non estorte con minacce o dettate dalla paura. Piaceva soprattutto il sistema corporativo, fondato non sul conflitto tra sindacati e padronato (sciopero e serrate), ma sulla collaborazione tra le parti.
Nella cerchia della destra nazionale, l’ammirazione rimase elevata anche quando emerse alla luce del sole il tratto totalitario e l’ambizione imperiale del regime. Nel 1937 l’università di Losanna conferì a Mussolini il dottorato «honoris causa» in scienze sociali e politiche, «per aver concepito e realizzato nella sua patria un’organizzazione sociale che ha arricchito la scienza sociologica e che lascerà nella storia una traccia profonda». Il rettorato si riferiva al soggiorno svizzero dell’agitatore romagnolo, all’epoca fervente apostolo del verbo socialista. Dal 1902 al 1904 ebbe modo di ascoltare alcune lezioni nelle aule dell’ateneo losannese e di procurarsi alcuni libri dalla biblioteca civica. Ma nel 1937 nessuno poteva più ignorare la vera natura del regime, la sua partecipazione alla guerra civile spagnola, l’occupazione dell’Etiopia ricorrendo ai gas asfissianti, l’eliminazione degli oppositori, tra cui – proprio in quell’anno – i fratelli Rosselli, Nello e Carlo.
Carlo Rosselli nel 1930 aveva contribuito ad organizzare il volo dell’aostano Giovanni Bassanesi su Milano, rovesciando sulla città migliaia di manifestini esortanti la popolazione ad insorgere: un’impresa audace a bordo di un monoplano Farman decollato da un campo di Lodrino, e che ora l’Associazione che porta il nome dell’aviere ripropone in un’agile «graphic novel» curata da Olmo Cerri (testo) e da Micha Dalcol (illustrazioni): un racconto che ripercorre l’episodio attraverso gli occhi di una giovane ambientalista dei giorni nostri. Due emergenze, due impegni a confronto. Rosselli e Bassanesi, chiamati alla sbarra in un memorabile processo, furono poi espulsi dalla Svizzera. Nel frattempo l’autorità federale aveva già riconosciuto la sovranità dell’«Italia imperiale» sull’Etiopia.
Un dottorato per il Duce
/ 17.01.2022
di Orazio Martinetti
di Orazio Martinetti