Anni fa, correva l’anno 2014, proprio in questa rubrica scrissi un pezzo sui caffè come i nuovi luoghi di lavoro, i nuovi uffici nei quali rispondere alle mail o fare riunioni tra un caffè e un muffin al cioccolato. Si intitolava «Una volta c’erano i salotti letterari, oggi c’è Starbucks». Anche allora mi trovavo a Berlino e, a distanza di tempo, posso dire che questa tendenza si è consolidata ma non senza sviluppare qualche risvolto paradossale. Entro in un Einstein Kaffee, l’alter ego tedesco di Starbucks, molto più curato nel design in verità, e preso il mio latte macchiato gigantesco al bancone mi avvio verso la saletta con i divanetti di pelle posizionati a ferro di cavallo. Non si sente volare una mosca. Davanti a me vedo ragazzi tra i 20 e i 30 anni, con grandi cuffie colorate in testa, concentrati a guardare gli schermi del loro pc. L’elemento estraniante è il silenzio. Nessuno parla, ad ogni tavolino che prevede due o tre posti c’è una persona sola. E ogni postazione prevede due prese per carica pc o smartphone.
Non sembra di essere in un caffè ma in una biblioteca o in una cattedrale. Tanto è vero che mentre vado a sedermi nell’unico posto libero mi arriva una telefonata. Il cellulare, per fortuna, è in modalità silenziosa. Ma chi osa rispondere? Non una parola, non uno sguardo di interesse per quanto sta accadendo intorno, chi entra, chi esce, niente. Eppure, i caffè sono per definizione luogo di incontro e di conversazione. Memorabili mi tornano in mente gli incontri al caffè ai tempi dell’Università. Eravamo sempre in cinque o sei, tutti stretti stretti intorno ad un tavolino che quasi scompariva tra braccia animate, borse e tazzine. Tra le nostre e le altri voci, montava il rumore della macchina del caffè, dovevamo gridare per sentirci l’un l’altra. Commentavamo le lezioni del prof. di letteratura inglese, noioso come la morte ma molto carino, l’esame di linguistica che tutti temevano come la peste o, più semplicemente, di come era andato il weekend. Ma quante risate, quanto ci piacevano quelle ore di chiacchiere, confronto e scambio di appunti scritti. Ci sentivamo al centro del mondo, invincibili con tutte le possibilità e le opportunità ancora davanti. Ecco, senza annegare nei ricordi di vent’anni fa, torno con i piedi nella realtà e dico: per fortuna non tutti i caffè hanno il WI-FI, almeno a Berlino. E l’ho imparato a mie spese.
Un pomeriggio ho appuntamento per un’intervista al Cafè Einstein Unter den Linden. Il nome assomiglia ma non ha nulla a che vedere con la catena di cui sopra. Aperto nel 1996 dal regista, attore e gallerista Gerald Uhlig è il punto di incontro della Berlino bene e dei politici in particolare. Qui da un ventennio convivono con successo l’arte del caffè e l’arte con la «A» maiuscola in un ambiente classico che rispecchia il fascino e lo stile dei caffè viennesi con tanto di sublimi strudel con panna montata. Bene, in questo luogo di fascino e prelibatezze arrivo con una mezz’ora di anticipo. Lungo la strada ero stata assalita da un dubbio, non ricordavo il nome della nave sulla quale lo scrittore che dovevo incontrare si imbarcò con la famiglia nel gennaio del 1945 per fuggire da Danzica. Poco male, ho pensato, nel caffè mi collego a internet e verifico. Mi siedo, ordino un cappuccino a un elegante cameriere tedesco sulla sessantina che, con modi spicci, ha fretta di andare verso un altro tavolo. Gli chiedo la password per il WI-FI. Già di spalle, si rigira verso di me con lo sguardo severo e secco – non senza una punta di sadico orgoglio – mi dice «Qui non abbiamo il WI-FI». Che disastro! Poi il mio sguardo vola sui quotidiani tedeschi appesi sulla cremagliera e in un secondo mi dimentico del mio dubbio e di internet.
Al di là dell’orgoglio del cameriere e della scelta del locale di promuovere lo scambio e la conversazione in un luogo che punta ad un certo tipo di clientela, va detto che nel contesto europeo, in fatto di WI-FI libero nei luoghi pubblici la Germania rispetto agli altri paesi è più restrittiva, più attenta alla privacy dei suoi cittadini e alla protezione dei dati che tutela con normative più severe rispetto agli altri paesi. Che dire? Io in quel caffè ho fatto una bellissima intervista, il dubbio me lo ha chiarito lo scrittore, è bastato chiedere, e lo strudel con la panna montata era ottimo.