Prima bocciatura per una mozione presentata dalla sinistra la scorsa primavera a Bellinzona città (azione sostanzialmente simile a quella avviata anche a Lugano) per perorare l’avvio del bilancio partecipativo, uno «strumento di democrazia diretta attraverso il quale una quota stabilita della spesa comunale viene destinata al finanziamento di progetti di valenza pubblica locale che sono stati proposti, discussi e approvati dalla cittadinanza». Avviato per la prima volta in Argentina nel 1989 a Porto Alegre, praticato ora anche un po’ in tutto il mondo, il bilancio partecipativo in Europa ha iniziato a svilupparsi nelle grandi agglomerazioni del Regno Unito e in Germania, trovando però applicazioni anche altrove (Parigi, Bologna e Bruxelles), sino ad arrivare tre anni fa anche in Svizzera, a Losanna e a Friburgo per la precisione. Secondo i promotori ticinesi, pur senza «rimettere in alcun modo in discussione la centralità del sistema e senza scalfire la primaria importanza dell’autorità comunale e dell’azione pubblica», anche in una democrazia diretta come la nostra il bilancio partecipativo potrebbe diventare uno strumento per coinvolgere maggiormente la popolazione nella definizione degli indirizzi politici. Ma nella capitale, dove la sinistra forse sperava di poter staccare una attenzione maggiore, il Municipio ora ha alzato la paletta... rossa, ricordando che le associazioni di quartiere praticamente assolvono già allo stesso compito, avendo a disposizione una quota di bilancio «per organizzare attività sul territorio di riferimento» ed essendo consultate «ogni qualvolta vi sono questioni e decisioni che riguardano il quartiere». Alla luce di questa motivazione difficilmente la mozione potrà trovare miglior accoglienza in altre sedi. Mozione da buttare? Progetto destinato a fallire?
Qualcuno obietterà: alla fin fine si tratta di una scelta fra zuppa e pan bagnato. Ma la semplificazione sarebbe fuorviante. Provo a spiegare perché. I due documenti che la sinistra ha presentato prima a Lugano e poi, quasi in fotocopia, a Bellinzona, non puntano a scavalcare le esistenti associazioni di quartiere, ma piuttosto a un coinvolgimento maggiore della popolazione – mediante una piattaforma informatica gestita da un gruppo «ad hoc» – in modo da creare nuove relazioni tra l’amministrazione e i suoi cittadini. Per effetto delle aggregazioni, nelle nostre città i progetti peculiari di un quartiere oggi vengono elaborati dalle associazioni di quartiere e sollecitano soprattutto interventi per nuovi manufatti, lavori urgenti e prestazioni o migliorie in servizi già esistenti.
Adottando il bilancio partecipativo le parti si invertirebbero, nel senso che l’esecutivo stanzierebbe inizialmente dei fondi e spetterebbe poi alla popolazione del quartiere stabilire le priorità degli interventi. Un esempio per evidenziare la differenza fra le due procedure: oggi le associazioni di quartiere segnalano di voler sistemare una piazza, un nuovo parco giochi, la creazione di un fontana ecc. e nei preventivi legislativo ed esecutivo stanziano i crediti necessari per eseguire i lavori. Con il bilancio partecipativo invece i gruppi di lavoro, nei limiti di budget prefissati dall’esecutivo, chiederanno agli abitanti, o a precisi segmenti della popolazione del quartiere, di presentare idee e suggestioni e in seguito di votare quali dovranno essere studiate dalle associazioni di quartiere e presentate al legislativo comunale per l’iter successivo. Esempi già realizzati, quindi ancora più chiari: nel 2019 a Boston, il municipio ha stanziato un milione di dollari per progetti destinati alla gioventù. Ebbene le idee iniziali non sono state chieste ai membri del legislativo o delle associazioni di quartiere, bensì a tutti i giovani dai 12 ai 25 anni invitati a scegliere su una piattaforma digitale come spendere i soldi per progetti dedicati a loro. L’esempio è stato subito copiato dalla città di Newcastle, nel Regno Unito, che ha ampliato concetti e allargato cordoni della borsa (quasi 3 milioni di franchi) per idee e programmi suggeriti da tutti gli studenti delle scuole comunali e della contea.
Ho scelto questi due esempi per evidenziare meglio come anche alle nostre latitudini il bilancio partecipativo risulti valido, oltre che per sollecitare nuovi parchi giochi in un quartiere, anche per rimettere in moto o riparare qualche ingranaggio del nostro ordinamento democratico. A mio avviso, così come in altri paesi risulta strumento valido per ravvivare il sentimento di appartenenza alla comunità, da noi esso potrebbe favorire la messa punto, se non una totale revisione, di certi meccanismi gestionari di fondi pubblici che partiti e lobby preferiscono mantenere immutati e ingessati. Penso in particolare ai conflitti con i giovani, alle loro legittime rivendicazioni che le altre generazioni faticano a capire e ad accettare, e alla necessità (urgenza, anzi) di avviare nuove soluzioni per evitare che le tensioni aumentino. E questo mi basta per arrivare a dire che, anche se in apparenza risulta un doppione, il concetto del bilancio partecipativo potrebbe favorire aperture utili per bilanciare i legami intergenerazionali.
Un bilancio per bilanciare
/ 04.10.2021
di Ovidio Biffi
di Ovidio Biffi