Passo davanti al televisore acceso e intuisco con la coda dell’occhio una scena almeno curiosa: mi par di vedere un prete con in mano un’aspirapolvere. Mi fermo, ora il sant’uomo rovescia per terra di tutto per mostrare le meraviglie del macchinario, che raccoglie asciuga pulisce disinfetta. È un bell’uomo, capelli corti lievemente brizzolati sulle tempie, alto, magro il giusto, potrebbe recitare in una fiction, da Uccelli di Rovo a Grey’s Anatomy. Ma non è un prete, nemmeno un attore che fa il prete, come ci si potrebbe aspettare. È un venditore vestito di nero, sotto la giacca (di taglio lievemente antiquato, come anche i pantaloni) ha un golfino un po’ aperto sotto il collo, sotto il golfino una maglietta bianca con, attenzione, il collo alto. Proprio come il cosiddetto «collare» o collarino che, dai tempi di Urbano VIII, accompagna pastori e vescovi delle chiese cristiane, della cattolica come di quelle di altro rito o le riformate.
Insomma, una figura rassicurante: se si dà volentieri ascolto, o addirittura retta, alle parole di un pastore in ambito spirituale, teologico, famigliare, vogliamo non ascoltare i suoi consigli sugli aspirapolvere? Ci si fida più volentieri del parroco che di un commerciante, anche se qualche parroco si è comportato male, ma sarà una minoranza, e quanti commercianti invece imbrogliano per vile denaro? Quindi, istintivamente, ci cattura il consiglio del pastore d’anime, usate l’aspirapolvere taldeitali, dite basta a spaccarvi la schiena pulendo per terra.
Segue immagine di giovane signora bionda che maledice il turpe lavoro dello straccio tirato a ginocchioni, attività non più praticata almeno dall’invenzione del mocio, quella specie di spazzolone coi capelli che fu inventato e brevettato quasi due secoli fa, nel 1837, da Eddy Key, negli Stati Uniti, poi perfezionato nel Novecento da uno spagnolo che gli diede il nome di mocho. In verità un recente film americano, Joy, ne attribuisce l’invenzione a Joy Mangano, intraprendente ragazza che negli anni Cinquanta ha pensato al cosiddetto miracle mop: le difficoltà della vita avevano spinto Joy a trascurare il suo istinto di inventrice, e col passare del tempo si era resa conto con delusione che nessuno dei sogni che aveva si era mai avverato. La scintilla si riaccende quando un giorno si trova a dover ripulire il ponte di una barca dai resti di calici di vino rosso, infatti le sue mani insanguinate dai frammenti di vetro la spingono a creare un nuovo accessorio per la pulizia della casa, che non comporti il dover strizzare con le mani il panno usato per pulire.
Questa digressione sul lavapavimenti capelluto serve a comprendere l’insensata figura della signora che pulisce per terra come Cenerentola, «salvata» dall’uomo travestito da prete e dal suo aspirapolvere. Aristotele avrebbe seguito con entusiasmo questo spot all’apparenza insulso e anche brutto, per le luci e i toni, a vedersi. In esso infatti pullulano elementi di retorica. Partiamo dall’iperbole della Cenerentola che si spezza la schiena, un’esagerazione per colpire la nostra intelligenza, o quella che ci rimane mentre guardiamo questi orrori televisivi.
Poi il travestimento del presentatore, che sembra ma non è un finto prete: potrebbe trattarsi di una metafora, come i pastori salvano le anime, così l’aspirapolvere ti salva dalla fatica. O una metonimia, dove la parte è per il tutto: lavorare meglio in casa rende migliore tutta la vita. Ma c’è di più, c’è l’inganno. L’abito che richiama quello dei preti è il cuore di più di un sillogismo: il pastore dà buoni suggerimenti; il pastore invita a comprare l’aspirapolvere; quindi comprare l’aspirapolvere è un suggerimento buono. E insieme: il pastore bello e brizzolato è accattivante; il pastore è associato all’elettrodomestico ormai noto; l’elettrodomestico è accattivante.
Ma non sono sillogismi, potreste obiettare, anzi obiettate di sicuro con sdegno. Sono piuttosto paralogismi, perché partono da una menzogna, quell’uomo non è un vero pastore, anzi, ne suggerisce solo l’idea, nemmeno si spaccia per tale. Infatti la retorica non è la logica, miei cari. Lo scopo della logica è condurre ragionamenti certi, mentre il fine della retorica, come si legge nelle prime righe dell’omonima opera di Aristotele, è persuadere.
Sarà poi la coscienza di ciascuno a vedere se ciò di cui si vuole convincere è cosa buona o cattiva o anche neutrale. E sarà poi la decisione di ciascuno porre un limite alla forza esercitata dai suoi mezzi di persuasione. In fondo, si suppone che la vita non cambi a causa di un’aspirapolvere, quindi è con un sorriso divertito che noi osserviamo il doppiamente finto pastore alle prese con i pavimenti. Ma le cose cambiano quando si pubblicizza il gioco d’azzardo, quando si inculca un’ideologia cattiva, quando si presentano stili di vita rovinosi ai più deboli, ai bambini, agli adolescenti.