Tra i tanti settori che affrontano una crisi in quest’epoca di tramonti e di nuove albe, ci sono i giornali. Il calo degli abbonamenti e delle entrate pubblicitarie; la concorrenza dei nuovi media; il dilagare dell’informazione in pillole che puoi sempre trovare e deglutire on-line: sono molte le cause della crisi. Le testate reagiscono aumentando le tariffe d’abbonamento, riducendo l’organico redazionale, ricorrendo sempre più alle agenzie di stampa; ma è dubbio che queste misure possano sanare la crisi e, soprattutto, garantire a lungo termine l’imparzialità e l’obiettività dell’informazione.
Il prevalere dell’immagine sulla parola scritta è iniziato con la televisione e da tempo e da più parti è stato rilevato che ormai è la televisione che crea l’avvenimento. La stampa scritta la commenta e si accoda.
Così, quella che si può considerare una delle grandi conquiste del mondo moderno – la libertà di stampa – si avvìa a un tramonto forse inevitabile. Ma, paradossalmente, non perché vi sia un potere dittatoriale che impone una rigida censura dell’informazione, ma – esattamente al contrario – perché non c’è più alcuna limitazione alla diffusione della notizia: così dilagano in Rete versioni innumerevoli di fatti accaduti, e anche di fatti inventati. Il lettore superficiale che pesca in Facebook o in Google la prima notizia che capita non ha molte possibilità di essere informato davvero.
Quando, nella prima metà dell’Ottocento, Stefano Franscini si batteva per l’alfabetizzazione del Paese, la libertà di stampa e la diffusione di giornali, lo faceva sulla base della convinzione che non può esserci una buona democrazia senza una buona informazione. E il XIX secolo fu proprio il tempo che vide il pieno affermarsi del giornalismo e la nascita di testate di parti avverse, che offrivano una ragionevole pluralità d’informazione. Oggi, la crisi del giornalismo di qualità va di pari passo con la crisi delle democrazie, anzi, ne è una delle componenti.
Però, chi è abituato a osservare il presente nello specchio del passato, sa bene che l’elogio della stampa giornalistica non è mai stato unanime. Se Hegel diceva che «leggere il giornale è la preghiera mattutina dell’uomo moderno», nello stesso secolo XIX ci furono critici radicali del giornalismo, come Kierkegaard e Nietzsche, per i quali la stampa di cronaca costituiva «il vero indirizzo culturale della nostra epoca» – ossia l’estensione ma anche la riduzione e l’abbassamento della cultura. E Baudelaire scriveva nel suo diario: «Dalla prima all’ultima riga, ogni giornale non è che un tessuto di orrori... E con questo disgustoso aperitivo l’uomo civilizzato accompagna il suo pasto ogni mattina. Non capisco come una mano pura possa toccare un giornale senza una scossa di disgusto». E se, agli inizi dell’Ottocento, Joubert chiamava i giornalisti «mercanti di rumori», Gesualdo Bufalino, riprendendone la tesi non molti anni fa, aggiungeva che «in un secolo e mezzo non è cambiato granché, anzi il rumore è cresciuto e lo vendon più caro».
Per quanto si possa parlar male del giornalismo (e gli autori ai quali ho fatto riferimento sono solo un piccolo campione di questa maldicenza), non si può negare che ne abbiamo bisogno. Senza un’informazione valida non solo la partecipazione democratica alla vita civile, ma anche la conoscenza della realtà rischia di indebolirsi e di sfumare nelle nebbie dell’ignoranza. Certo, servono bravi giornalisti, capaci di informare correttamente, dotati di quelle qualità che Voltaire indicava già nell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, alla voce «Gazettier»: istruiti, veritieri, imparziali, semplici e corretti nello stile. Aggiungeva poi – purtroppo – che è raro trovare un buon cronista.
Ma i bravi giornalisti – che indubbiamente ci sono ancora – non bastano se non ci sono lettori altrettanto bravi. Pubblicando nel 1975 (dunque, prima dell’era digitale) un libro dal titolo Come si legge un giornale, il giornalista e scrittore Paolo Murialdi rilevava l’importanza di leggere il giornale con occhio critico e distaccato, essendo attenti ad avvertire le manipolazioni delle informazioni fornite. A questo scopo – suggeriva – sono molto utili i confronti tra due o più quotidiani.
Non so se siano molte le persone che hanno il tempo di fare tali letture critiche; e soprattutto, non so quanti ne abbiano voglia. Tra i giovani, in particolare, queste caratteristiche mi sembrano scarse: e sono loro, ovviamente, che tracciano le nuove vie del futuro dell’informazione.