Udc: siamo piccoli ma cresceremo

/ 01.03.2021
di Orazio Martinetti

Nel 1976, a conclusione di un saggio sulla storia politica dell’Ottocento, Roberto Bianchi e Andrea Ghiringhelli osservavano che «negli ultimi anni si è fatto parecchio per riscoprire e ricostruire le fonti disperse e qualcosa si è ottenuto. Ma siamo ancora agli albori, almeno per quel che riguarda la storia politica». Da allora sono trascorsi oltre quattro decenni e in questo lasso di tempo molto è stato fatto in questo ambito di studi (biografie, momenti di svolta, dissidi e scissioni), in primo luogo per merito dei medesimi ricercatori sopra citati.

La storia delle formazioni politiche ticinesi non è più una distesa di sabbia in cui spiccano solo qui e là alcune pregevoli oasi. Tuttavia le lacune da colmare e le tessere mancanti sono ancora numerose, specie per le vicende dell’ultimo mezzo secolo. Per questo è da salutare con favore il recente volume sulla storia dell’ex Partito agrario ticinese, oggi Udc, pubblicato dall’editore Dadò con il sostegno della Fondazione Carlo Danzi (Un secolo di storia politica). Gli autori, due storici (Fabrizio Mena e Marco Marcacci) e due politologi (Carolina Ferrari-Rossini e Oscar Mazzoleni), hanno potuto portare a termine il loro mandato in piena libertà; inoltre alcuni ex dirigenti hanno messo a disposizione i loro fondi archivistici privati: gesto, anche questo, commendevole, piuttosto raro tra le famiglie che sul piano politico hanno lasciato un’impronta nella storia cantonale.

L’Udc nacque all’indomani della Grande Guerra, nel 1920, quale costola dei due partiti maggiori, i liberali e i conservatori (più dei secondi che dei primi). Allora la quota della popolazione attiva nel settore primario (agricoltura, allevamento, selvicoltura) era ancora elevata, benché calante di anno in anno. Il settore era però in affanno, nel solco di un’arretratezza che affondava le sue radici nei secoli precedenti, sia nei metodi coltivazione, sia nell’organizzazione complessiva (frazionamento dei terreni). Occorreva dunque porvi rimedio, varando riforme incisive, strutturali, fondate su una concezione moderna dell’impresa agraria. Compito che si propose, non senza incontrare ostacoli, l’ingegnere Gaetano Donini, senza dubbio la «mente» di questa prima fase del nuovo partito.

Sulle prime il Partito agrario (Pat) raccolse un certo numero di consensi, specie nelle valli superiori e nel Locarnese; nel «governo di paese» varato nel 1922 da Giuseppe Cattori, il Pat ottenne subito un seggio in Consiglio di Stato, con Raimondo Rossi, amministratore rigorista che fece quadrare i conti ma senza guadagnarsi le simpatie dei colleghi. Fu la prima e unica volta. Dopo di che prese avvio la parabola discendente, un’esistenza precaria e marginale, una «traversata del deserto» (Marcacci) che fece temere più volte la scomparsa degli agrari dai banchi del parlamento: due-tre deputati in Gran Consiglio, con un tonfo clamoroso nel 1995 (un solo rappresentante).

E invece il Pat risorse, sebbene sotto mutate spoglie. Cambiato il nome nel 1971 (Unione democratica di centro) riuscì ad agganciarsi alla nuova Udc nazionale («Schweizerische Volkspartei») trainata da Christoph Blocher, che proprio negli anni Novanta prese a mietere successi lungo due fronti: la politica anti-Ue e il contrasto allo straniero, nelle sue varie incarnazioni, dal rifugiato al frontaliere. In Ticino, benché insidiato dalla concorrenza leghista, l’Udc seppe sfruttare abilmente i punti controversi della proposta politica, sia nel campo della formazione (affossamento del Centro universitario e, più recentemente, della «Scuola che verrà), sia nel campo del mercato del lavoro («Prima i nostri»). Nell’ultima tornata elettorale cantonale, l’Udc è risalita a sette seggi; ma più rilevante ancora è stata la sua progressione a livello nazionale, con un deputato alla Camera bassa (Piero Marchesi) e un rappresentante al Consiglio degli Stati (Marco Chiesa, che nel frattempo è pure diventato presidente dell’Udc nazionale).

La traiettoria elettorale dell’Udc ticinese è stata dunque a gobba di cammello: ascendente durante i primi anni di esistenza, una quasi caduta verticale tra il 1927 e il 1995, un’energica ripresa dal 1999 in poi. Ogni raggruppamento conserva ed esprime tratti peculiari che lo distinguono dagli altri. La scheda segnaletica dell’Udc evidenzia soprattutto tre «segni particolari»: il patriottismo nel solco della tradizione elvetica «sovranista»; l’adesione al modello politico svizzero-tedesco (scarsa o nulla l’influenza della fraseologia e delle formule ideologiche italiane); e infine un’istintiva diffidenza nei confronti dell’intellighenzia (pressoché assenti nei suoi ranghi gli intellettuali d’area umanistica).