Molto, forse troppo, è già stato detto, scritto, fotografato, a proposito della morte di Fabrizio Frizzi. Il tema, però, non si esaurisce nella stretta attualità di un fatto di cronaca, di per sé non eccezionale. Invece, la qualità del cordoglio, espresso sia dalla folla, che gli ha recato l’ultimo saluto, sia dai necrologi, comparsi su quotidiani e giornali d’ogni tipo e tendenza, ne doveva fare un caso particolare, rivelatore. Si sono visti comportamenti insoliti, improntati a uno spontaneo riserbo, e, soprattutto, si sono ascoltate e lette parole, insolite nel linguaggio corrente come in quello giornalistico. A Frizzi sono andate definizioni persino démodé. Da quella prevalente di gentiluomo, di belle maniere, a quella di uomo comune, dotato di una modestia, rara nel mondo dello spettacolo. Tanto da diventare un esempio di «aurea mediocrità», come ha scritto, sul «Corriere della sera», Aldo Cazzullo. Ridimensionando, giustamente, i meriti professionali di uno showman, che non era un fuoriclasse, ma sapeva «entrare in casa senza invadenza». E, in pari tempo, attribuendo a mediocrità connotati virtuosi.
Ora, quest’ondata di simpatia nei confronti di una figura, in fondo secondaria, ha fatto affiorare motivazioni, intuibili anche se inconfessate. Si tratta, in definitiva, della diffusa nostalgia per modi di fare e di dire sotto tono, di un condiviso allarme per la minaccia delle parolacce, delle sfuriate pretestuose, dei talenti gonfiati. Diamoci, insomma, una regolata e godiamoci le pause rilassanti, animate da personaggi, appunto come Frizzi, consapevole dei suoi limiti d’intrattenitore, capace, però, di gestire i nostri «happy hours» domestici. Tenendoci compagnia. Ed ecco che, proprio con queste parole si tocca il punto centrale del discorso: domestico e compagnia sembrano proprio qualificare il ruolo che spetta ormai alla televisione. Dopo l’avvento di smartphone, tablet, social eccetera, cioè in un’altra era tecnologica, mediatica e comportamentale, il piccolo schermo ha subito gli effetti di una concorrenza inesorabile. A cui era giocoforza adeguarsi. Riuscendo, tuttavia, a ricrearsi un proprio spazio, persino una propria insostituibilità. Si è trovata a svolgere, magari involontariamente, una funzione che, con un po’ d’ironia, si potrebbe chiamare di dama di compagnia, di consolatrice, di badante alle prese con un pubblico, cui, appartengo: prevalentemente maturo, o anziano, abitudinario, casalingo, e fedele al rito di appuntamenti previsti. Compreso quello con «L’eredità» di Frizzi, pausa serena, prima del notiziario che riconduce, di colpo, alla realtà.
Certo è che, malgrado i consensi, ottenuti in Svizzera sull’iniziativa No- Billag, la televisione istituzionale ha perso la centralità che, per decenni, aveva occupato sul piano politico, culturale, educativo. Quando, insomma, faceva opinione, appassionava, preoccupava. Era stata la «cattiva maestra», di cui Karl Popper, nel 1994, aveva denunciato la pericolosità, tanto da chiedere, ai governi un controllo in nome dello «stato di diritto basato sulla non violenza». Il filosofo fu, poi, costretto a ricredersi. Come avrebbe fatto, a sua volta, Umberto Eco, con la famosa Fenomenologia di Mike Buongiorno (1961): corresse, poi pubblicamente, il tiro. Sarà pur stato banale il vecchio Mike, ma dopo di lui, arrivò la volgarità di Bonolis e compagni. Per non parlare delle chiassate di Sgarbi, che fece scuola.
D’altro canto, la televisione ha trovato anche qualificati difensori. Nel 2007, Aldo Grasso, di sicuro il più competente specialista in materia, pubblicò il saggio Buona maestra: dedicato, appunto, a un mezzo spesso demonizzato: proprio perché frainteso. A cominciare dai «deprecati» telefilm americani che, al contrario, diffondono esempi di buon cinema.
Questione di sensibilità, di attenzione, persino di affetto verso una forma d’informazione e intrattenimento che appartiene al passato, sia pure prossimo. Davanti al piccolo schermo, nuovo focolare domestico nell’ultimo mezzo secolo, non siedono più i giovani, i giovanissimi, i bambini. Si sono trovati un nuovo perditempo: smanettare sulle tastiere, scambiarsi messaggi e immagini.