Non stiamo esagerando: questo «tutti», che può sembrare un’iperbole pubblicitaria, definisce una realtà, statisticamente accertata. Nel 2012, l’Organizzazione mondiale del turismo aveva, infatti, reso noto che, per la prima volta nella storia, oltre un miliardo di persone aveva viaggiato per il proprio piacere, insomma da turisti. Il dato si riferiva ai paesi evoluti, dove partire, quando e come si vuole, è ormai, un diritto acquisito per l’intera collettività. Mentre continua a essere un privilegio riservato alle élites, ultraricchi, celebrità, altolocati, nei paesi economicamente arretrati e politicamente repressivi. In altre parole, poter andarsene per proprio conto rappresenta una sorta di termometro per misurare il grado di libertà e di benessere: che però, con il passare del tempo, ha registrato effetti assurdi. Ecco che, il viaggio, vietato dall’ottusità politica o dalla povertà, assume nell’immaginario collettivo il plusvalore di un gesto ideale, persino eroico. Viceversa, se è agevolato da incentivi d’ogni tipo, organizzativo, finanziario, culturale, come succede dalle nostre parti, rischia di appiattirsi in abitudine, addirittura in obbligo e diventare il bersaglio di critiche, perplessità, timori che fanno sempre più opinione. E, per finire, attribuiscono alla figura del turista connotati alterni e discutibili.
Insomma, turisti sì, attesi, coccolati, indispensabili, o turisti no, invadenti, rozzi, spilorci, da mettere al bando, magari da multare? Proprio queste contraddizioni alimentano un tema ricorrente, addirittura una costante, nei nostri media, in un paese che coltiva, a giusta ragione, la prerogativa di zona a vocazione turistica. Dove, però, cresce vistosamente l’imbarazzo nei confronti dei turisti, di certi nuovi turisti, colti in flagrante, mentre facevano la pipì in piazza o in un parco pubblico, e debitamente multati. Episodi di per sé banali. E tuttavia indicativi di comportamenti ispirati a una diversa interpretazione della convivenza civile, della libertà individuale e che si stanno diffondendo attraverso l’incontrollabile contagio del cattivo esempio.
Infatti, gli episodi avvenuti in Ticino ricalcano, in forma ancora attenuata, quel che accade nelle città d’arte italiane, afflitte da questo malcostume: a Roma, dove si fa il pediluvio nella fontana di Trevi, si lasciano scarabocchi con lo spray sulle pietre del Colosseo, a Venezia, da questo punto di vista, la vittima più simbolica di un degrado, oltretutto disarmante. Qui sta il nodo del problema: con quali mezzi intervenire per scioglierlo? Multe, numero chiuso, regolatori d’accesso, tipo girello, ingresso a pagamento, raccomandazioni rivolte alle agenzie che organizzano visite ai luoghi cosiddetti fragili, musei famosi e scavi archeologici, cioè itinerari classici d’obbligo? A Venezia si deve pure andare, almeno una volta: è un sacrosanto diritto, di cui usufruiscono, dopo l’89, anche i cittadini dell’Europa orientale. E, d’altra parte, come contrastare la popolarità delle crociere per tutti, a bordo delle supernavi, che, nello scalo ad Atene, riversano sull’Acropoli migliaia di visitatori, costretti a sgomitare in una folla di persone e selfies che copre la visione del Partenone?
Dietro a questi interrogativi, c’è una valenza d’ordine morale: si rischia di frenare quella che è stata una conquista sociale che coincise con l’avvento delle ferie pagate a tutti. E quindi, tutti destinati a trovarsi, almeno una volta all’anno, nelle condizioni di turista, a svolgere un ruolo, sempre più attraente e impegnativo. Oggi, per sfuggire all’omologazione dei gruppi organizzati, c’è chi si avventura in luoghi dal fascino crudo, anche dal profilo climatico. Vanno di moda le mete estreme: è gettonato il tour sulle rocce a strapiombo dei fiordi norvegesi. Itinerario, ovviamente rischioso, che però gitanti sconsiderati affrontano calzando ciabatte infradito.
A questo punto, è il caso di citare un addetto ai lavori: Jean-Didier Urbain, sociologo e antropologo francese, autore di un saggio che portava un titolo sibillino: L’idiot du voyage, sì proprio «l’idiota del viaggio». Fu, evidentemente, costretto a spiegare il termine: in base all’origine greca, significava «particolare», «non conoscitore», «estraneo». Come dire, il turista si trova sempre alle prese con una situazione delicata, da marginale.