Tu chiamale se vuoi... presentazioni

/ 07.10.2019
di Bruno Gambarotta

Non c’è evento culturale in Italia che, giustamente, non programmi un evento in carcere, alla presenza di detenuti e di spettatori venuti da fuori. Festival di Mantova, ore 16 di giovedì 5 settembre: la Casa Circondariale ospita l’evento «L’umanità è come il vento, non si chiude in una scatola» per presentare il libro Vento in scatola di Glay Ghammouri e Marco Malvaldi, frutto dell’incontro fra i due autori durante un corso di scrittura creativa tenuto da Malvaldi in un carcere della Toscana.

I cento biglietti sono andati venduti e quando si è trattato di accogliere i numerosi detenuti che desideravano assistere all’evento, i responsabili del carcere si sono mostrati molto preoccupati. Alla domanda sul perché lo fossero, la risposta è stata lapidaria: «Così non ci sono vie di fuga». Contro obiezione: «Non è vanto di un carcere non presentare vie di fuga?». Al festival, in prossimità di ogni evento, si formano due file di spettatori: la prima è formata da coloro che sono già in possesso del biglietto di ingresso e la seconda da coloro che devono acquistarlo.

Giovedì 5 settembre, poco prima delle 16, è arrivata la mamma di un carcerato per sfruttare il suo turno di visita. Lei, senza chiedere nulla a nessuno, si è accodata nella seconda fila e, quando è stato il suo turno, ha sborsato i sei euro del biglietto. Senza protestare. Però era indignata per il punto di esosità in cui si è arrivati in un paese dove, pur di fare soldi, si fa pagare un biglietto d’ingresso a coloro che sentono il dovere di andare a far visita ai detenuti. Gli spettatori venuti da fuori hanno dovuto sottostare alle rigide regole e, varcando la soglia del carcere, hanno depositato in appositi contenitori, sorvegliati a vista dalle guardie, chiavi, telefoni, strumenti elettronici, portafogli.

Anche qui, come nelle altre sedi del festival, alla presentazione del libro è seguita la cerimonia della firma con dedica degli autori sulla pagina bianca che precede il frontespizio interno. Previo acquisto del libro, ovviamente, presso il banchetto allestito dal libraio. «Ma come facciamo a pagarlo se abbiamo dovuto depositare il portafogli all’ingresso?». Non c’è nessun problema, è stata la risposta degli organizzatori, prendete pure il libro, fatevelo pure dedicare, lo pagate poi, all’uscita dal carcere. Al termine dell’evento, si tirano le somme e si scopre che manca all’appello una copia del libro. Chi l’ha presa? Si fa presto a scoprirlo, è stato un detenuto che ha preso in parola l’annuncio. Ha preso una copia del libro, se l’è fatta dedicare e ha dichiarato che la pagherà all’uscita, fra tre anni, quando avrà finito di scontare la pena e uscirà dal carcere.

Possiamo dire che, grazie al diffondersi dei festival culturali, la cerimonia di presentazione di un libro ha assunto spessore e dignità di un nuovo genere di intrattenimento e sarebbe ora di iniziare a recensirlo come si fa con gli altri generi di spettacolo. Al fianco della classifica delle vendite andrebbe messa la classifica del numero di presentazioni che per alcuni, me compreso, superano il numero di cento.

Venerdì 13 settembre alle ore 20.45, al festival «Florinas in giallo» (siamo in provincia di Sassari), Maurizio De Giovanni ha presentato Dodici rose a settembre, edito da Sellerio, intervistato da Enrico Pandiani. Ne è derivata un’ora di spasso totale, a cui ha fatto seguito una lunga fila di acquirenti del libro. Per dare inizio alla seconda parte dell’evento, la cerimonia della dedica. Quasi sempre eternata da una fotografia scattata con il cellulare, o da un amico o parente dell’acquirente o sotto forma di selfie. Con un effetto promozionale di prim’ordine: quello scatto verrà ipso facto inviato a tutti i numeri in memoria del cellulare, per far sapere «guarda dove e con chi sono». I corrispondenti dell’acquirente verranno così a conoscenza del fatto che l’autore ripreso ha pubblicato un nuovo libro e già farlo sapere è un bel risultato. Per gli scrittori bravi ma timidi e restii ad esibirsi in pubblico la vita diventa sempre più dura.

A me piace fare la ruota su un palco ed eludere o aggirare le domande dell’intervistatore di turno, al punto che lo stimolo più forte a scrivere un libro mi deriva dalla speranza di essere invitato a presentarlo. Se poi l’evento è preceduto o seguito da una cena con prodotti locali è ancora meglio. Al vertice del mio gradimento si trovano i piccoli centri, dove chi vuole assistere non deve prendere l’auto e trovare un parcheggio a pagamento. Se poi tutto il processo è messo in moto da un locale gruppo di lettura nel quale i soci nelle settimane precedenti si sono impegnati a leggere il libro, si sfiora la perfezione.

Le presentazioni nei circoli, tipo Rotary o Lyons, non sono male. Il presidente del circolo, per non fare brutta figura con l’autore, ha fatto pressione sui soci affinché acquistassero il libro, che porteranno a casa senza trovare il tempo di leggerlo. Lo farà la colf rumena e ne diffonderà la fama fra le colleghe.