Il musicista che ho appena intervistato vuole condividere con me il selfie che ha scattato per l’occasione. Per lui è essenziale che i suoi fan sappiano quello che fa in ogni momento della giornata, che possano partecipare e magari diffondere ad altri le sue attività, anche minime, svolte durante i suoi spostamenti per il mondo. «Te lo mando. Tu chi sei su Instagram?». Imbarazzo del cronista, che non ricorda il suo «nome su Instagram» e lo confonde con quello su Twitter (Parentesi: il cronista in questione è uno di quelli timidi ma anche un po’ sospettosi che in tempi lontani aveva accettato i consigli di altri utenti sospettosi: non mettere mai il tuo vero nome sugli account dei social. Adesso si ritrova con una pletora difficilmente gestibile di pseudonimi fantasiosi e scombinati).
Sguardo di leggera riprovazione dell’artista, come a dire: «Ma com’è possibile? Non ricordi i nomi dei tuoi account?». L’occasione però è ottima per un rilancio: gli chiedo subito quanto tempo prende, a un professionista dello spettacolo, questa attività sui social. «Moltissimo. Mi alzo alle 6.30 comincio subito da Facebook. Lì metto le cose principali. Poi passo ad Instagram, dove le cose vanno un po’ più in fretta perché il caricamento è più immediato». Chi scrive non ha avuto cuore di chiedergli se nella lista degli aggiornamenti quotidiani rientrano anche Twitter e TikTok, ma la cosa alla fine non ha molta importanza. Il musicista continua a raccontare che la sua giornata è un costante «pendolo» dalla pratica musicale alla dimensione dei social, che gli lascia poi magari soltanto alla sera qualche momento tranquillo: da dedicare alle chiacchiere con amici sparsi in ogni parte del mondo (via videochiamata, naturalmente).
Che ci sconcerta un po’, è osservare la quantità di tempo che hanno preso nella vita di un artista queste strategie di comunicazione, che, come ci conferma l’interessato stesso, sono diventate parte effettiva della sua attività professionale. È stato sempre così? Cioè, l’attività di comunicazione per un professionista dello spettacolo è da sempre una componente così importante della sua routine quotidiana? Ovviamente no, viene da rispondere, visto che le nuove tecnologie e le nuove piattaforme sono diventate parte della scena mediatica solo di recente. Oppure sì: da sempre gli artisti devono aver avuto un occhio attento alla loro vita fuori dalle scene, cercando ogni possibilità per mettersi in mostra e per far conoscere la loro attività e la loro bravura. Sono solo diverse le tecniche, ma l’attitudine è la stessa.
Di fatto, e pensandoci un momento, il grande cambiamento sembra determinato più che dalle necessità dell’artista in sé, dalla spettacolarizzazione della vita quotidiana di tutti noi. In un certo senso, siamo diventati tutti delle star, che ogni giorno si mettono in mostra in miliardi di post autopromozionali sui social media. È un vero dilagare incontrollato: vi è capitato per caso di scorrere la finestrella di ricerca del vostro Instagram, quella creata automaticamente dai post entrati in ordine cronologico? Quante centinaia di facce di illustri sconosciuti occorre scrollare prima di trovare quello di un/una vera artista? (A parte forse Billie Eilish che sembra trascorra più tempo lì dentro che nella vita reale). A questa stregua, i primi a soffrire del meccanismo sono proprio gli operatori dello spettacolo, quelli veri, quelli che hanno bisogno dell’esposizione mediatica per campare…
Il loro sforzo di apparire, visto in questa prospettiva, ha qualcosa di disperato. Per mantenersi sulla cresta dell’onda sono proprio loro a dover «surfare» per primi, a dover dare segni di vita e a sventolare la bandierina del «Ehi sono qui! Guardami!». E se una volta bastava loro magari riuscire a piazzare un’intervista sul giornale giusto, a passare per qualche minuto nella trasmissione televisiva di successo, oggi invece devono preoccuparsi di bucare ogni possibile canale informativo, di mettere fuori la manina e fare ciao da quanti più smartphone possibili. Una vita difficile. Chissà quando trovano il tempo di suonare davvero? Il discorso si può allargare poi ad altre categorie di utenti, magari istituzionali o economico-finanziari. Ma la domanda rimane: il dubbio è che più tempo si dedica all’attività digitale, meno ne rimanga per quella analogica, concreta. Sempre che esista ancora.