Trump «lascia» lo show

/ 18.01.2021
di Aldo Cazzullo

Togliere Twitter a Trump significa fargli un favore. Perché Trump da sempre si atteggia a vittima del sistema e ora i padroni della Rete si comportano in modo tale da confermare il suo schema. Detto questo, Trump ha responsabilità gravissime. Chiunque abbia seguito una campagna elettorale americana sa che i personaggi che hanno assaltato il Campidoglio il giorno della Befana – il biker barbuto, l’energumeno ipertatuato, il culturista con bandana stelle e strisce, financo lo sciamano cornuto con la pelle di bisonte – ci sono sempre stati e sempre ci saranno.

C’erano ai comizi di Bush figlio, di McCain, di Romney, di candidati repubblicani che hanno disprezzato Trump. Venivano accolti dalla folla con un applauso di simpatia, come figure folcloristiche e divertenti. Venivano ripresi dai network in cerca di colore: da quelli di destra, come segno di un radicamento popolare, per quanto bizzarro; da quelli di sinistra, come conferma della propria superiorità morale. Ma della politica americana erano il contorno. Nessuno avrebbe mai immaginato di vederli in mondovisione occupare il Campidoglio.
Se questo è accaduto, se le comparse sono diventate protagoniste, se gli estremisti hanno preso il potere nel 2016 e ora tentano maldestramente di difenderlo, è perché Donald Trump ha provocato una mutazione della destra e della politica Usa. E questo non è solo un problema della sinistra. È un problema anche e soprattutto della destra. Che da conservatrice è diventata populista, da patriottica si è fatta nazionalista. L’America è sempre stata divisa; ma non è mai stata polarizzata come adesso.

Trump esce di scena nel peggiore dei modi; e da oggi rientrarci sarà per lui meno facile. Ma i mostri che ha liberato non torneranno facilmente nell’antro oscuro del malessere americano. Joe Biden, il più anziano presidente mai eletto, si insedia nel momento più delicato. La sua strategia è chiara: conquistare i moderati del campo avverso, isolando gli estremisti del proprio. I risultati elettorali, compreso il ballottaggio in Georgia, lo incoraggiano, ma non gli garantiscono il successo: lo scorso 3 novembre non c’è stata la valanga democratica prevista dai sondaggi, bensì una vittoria di misura che Trump nella sua povertà morale ha rifiutato e rifiuterà di riconoscere.

Le inchieste dovranno chiarire se la «presa del Campidoglio» è stata frutto solo di imperizia o se ci sono responsabilità operative – oltre che politiche – del presidente sconfitto. Di sicuro la prospettiva di una scissione nel partito repubblicano non è credibile: il sistema elettorale la esclude; gli esponenti ragionevoli del Gop dovranno combattere la propria battaglia nel proprio partito. E il banco di prova ideale sarebbe concordare con i democratici la riforma di un sistema di transizione troppo lento e farraginoso, in un tempo che richiede decisioni immediate. Ora Biden non ha solo un’America da pacificare. Ha un mondo da riconquistare, o meglio con cui ricucire. Angela Merkel non ha aspettato il nuovo presidente per concludere lo strategico accordo commerciale con Xi Jinping.

Trump ha segnato, anche grazie ai social, un cambiamento anche antropologico nella politica. Il suo modello non è mai stato Bush o Reagan o Nixon o Eisenhower. Il suo modello è Hulk Hogan, il re del wrestling, la lotta in cui nessuno si fa davvero male. Come Hogan, Trump visto da vicino è altissimo, sovrappeso, torvo, minaccioso, malmostoso, ma sempre pronto ad aprirsi in un sorriso ammiccante, a tirare all’interlocutore una pacca condiscendente. I suoi non sono comizi, sono show. Sostiene di non aver mai sentito un discorso di Obama sino alla fine. Lui usa lo spettacolo e usava Twitter finché non gliel’hanno tolto. Ha passato quattro anni a dire in sostanza due cose: l’America non è mai stata tanto forte, ricca, potente nella storia; eppure l’America è in pericolo e deve essere protetta. Tutta la sua politica va letta come un’alternanza tra orgoglio e paura, tra senso di superiorità e allarme per l’impoverimento della classe media e la perdita di sovranità a favore del mondo globale. Sentimenti estranei all’élite che studia, viaggia, compete con l’estero, ma molto vivi nelle classi popolari, in particolare i bianchi.

Il rapporto tra The Donald e la sua gente è molto diverso da quello che legava Obama ai sostenitori. Obama era più apprezzato che amato. La gente ammirava lui, la sua storia personale, la sua cultura; ma non era sfiorata dall’idea di essere come lui, di essere lui. Con Trump l’identificazione è totale. Perché Trump non è percepito come un miliardario, ma come un povero con i soldi. Che pensa e sente come i suoi elettori. Fino a quando non accade l’incidente, che pure nel wrestling è sempre in agguato. L’assalto a Capitol Hill è stato l’incidente. Per questo ora Trump è più debole. Anche se questa non è una buona ragione per togliergli Twitter.