Trump e la tentazione del colpo di stato

/ 18.07.2022
di Peter Schiesser

È agghiacciante la realtà che emerge dagli hearing alla Camera dei Rappresentanti sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Ricostruzioni dei fatti antecedenti, testimonianze, anche dei più stretti collaboratori di Trump e altri attori, mostrano una sua chiara strategia nel folle tentativo di non cedere la Casa Bianca. Trump ha fallito, ma ha portato gli Stati Uniti sull’orlo di un colpo di stato.

La sua strategia si è articolata in tre filoni, adattandosi volta per volta alla situazione. Dapprima c’è stato il tentativo di usare il Dipartimento di giustizia per bloccare la certificazione del risultato delle elezioni negli Stati in cui il presidente aveva perso per poco, oltre che precedenti pressioni su funzionari e governatori di quegli Stati affinché trovassero voti in suo favore. Dimessosi William Barr dalla testa del Dipartimento di giustizia (DOJ), poiché riteneva ridicola la tesi del voto rubato, il presidente ha fatto pressione sul suo successore Jeffrey Rosen affinché indagasse i presunti brogli. Alla risposta che erano una pura fantasia, il presidente ha brigato per installare alla testa del DOJ uno sconosciuto procuratore del dipartimento attivo in cause civili ambientali, Jeffrey Clark. Soltanto l’opposizione del suo intero staff e la minaccia di dimissioni in massa ai vertici del DOJ ha fatto desistere Trump. Che però non si è dato per vinto.

Secondo filone: il 18 dicembre si è tenuta una strana riunione alla Casa Bianca fra il presidente, il suo avvocato Rudolph Giuliani, l’ex CEO di Overstock Patrick Byrne, l’avvocatessa Sidney Powell, l’ex ministro della giustizia Michael Flynn – tutti accomunati dalla mancanza di scrupoli nel mantenere al potere Trump. Informati d’urgenza, i consiglieri e i legali del presidente si sono precipitati nello Studio Ovale. Chi fuori dalla stanza sentiva le urla di quella riunione durata sei ore, in cui si è quasi arrivati alle mani, l’hanno definito «sconvolgente». Tutti i collaboratori di Trump hanno reiterato che quella dei brogli elettorali era una Big lie, una grande menzogna. Benché il presidente non cambiasse opinione, sono perlomeno riusciti a fargli capire che l’idea di mandare l’esercito a sequestrare le macchine elettorali era un’assurdità e pure al di fuori dei poteri presidenziali. A questo punto Trump ha virato in direzione di un’insurrezione popolare: tre ore dopo, nel pieno della notte, ha inviato un tweet che ha portato dritto all’assalto del Campidoglio: «Grande protesta a D.C. il 6 gennaio. Be there, will be wild!» – venite, sarà selvaggio.

Trump nelle prime ore del 19 dicembre aveva imboccato la terza strada per mantenersi al potere. Impossibilitato a controllare il Dipartimento di giustizia, come pure di usurpare il potere di sequestrare le macchine elettorali, gli restava l’appello ai suoi sostenitori e in particolare a quelle frange estremiste di destra che durante il suo mandato lo hanno sostenuto e lui ha sempre scusato (ha mostrato simpatia verso di loro quando a Charlottesville protestarono in un’adunata dai riflessi nazisti contro la rimozione di una statua del generale sudista Lee). Quel «venite, sarà selvaggio» è stato una chiamata alle armi. Per i sostenitori fondamentalmente pacifici del presidente, ma anche per gruppi militanti come gli Oath Keepers, i Three Percenters, i Proud Boys. I quali hanno poi guidato l’assalto al Campidoglio. La vicinanza all’informale entourage di Trump è provata anche da immagini e circostanze che vedono alcuni militanti di questi gruppi fra i bodyguard di Michael Flynn e l’amico di Trump Roger Stone, a lui legati anche nella creazione di account social sul Grande furto (delle elezioni). Ma, soprattutto, le testimonianze hanno indicato che lo stesso Trump, dopo il discorso infiammatorio in cui incitava a marciare sul Congresso il 6 gennaio, intendesse mettersi alla testa del corteo. Solo il rifiuto da parte degli agenti di sicurezza ha evitato uno scontro senza precedenti fra presidente e vice presidente (ricordiamo lo slogan «Impiccate Pence» urlato dai sostenitori di Trump).

Tuttavia, i fan di Trump e la maggioranza dei repubblicani restano indifferenti, e per ora l’ex presidente non è indagato per sovversione: la democrazia negli Stati Uniti non è fuori pericolo, il 6 gennaio può ripetersi.