Ho già ospitato il regista Pupi Avati in questo spazio per dire di una sua magnifica lettera in cui invitava i dirigenti della Rai ad approfittare del primo lockdown in corso «affinché il virus si porti via anche la Tv trash» offerta dai millanta canali televisivi italiani (ma, stando a indici di ascolto e preferenze del pubblico ticinese, un po’ anche «nostri»). Oggi torno a parlare di Avati e di un altro suo aneddoto.
Un giorno, mentre era a diretto colloquio con un giornalista, poiché il suo telefonino continuava a squillare gli disse che poteva anche rispondere. Avati, con un candore pari alla bellissima storia che stava per rivelare, lo tranquillizzò dicendogli di non preoccuparsi: era una chiamata che poteva benissimo attendere. Ed ha spiegato anche il perché: «Vede, la mia rubrica telefonica per il 70% è fatta di persone con disturbi mentali. Questo signore che mi chiama, ad esempio, si chiama Giovanni e da dieci anni mi chiama tutti i giorni della mia vita da Cavallino Treporti per chiedermi se a Roma piove o c’è il sole. Io gli chiedo com’è il tempo da lui e poi ci salutiamo. Non ha mai saltato un giorno e io gli rispondo, sempre. Sono persone buonissime, gli ho anche dato qualche piccola parte come comparsa. Lui ha bisogno di questa telefonata quotidiana e a me non costa niente». Applausi ad Avati, in attesa di continuarli quando arriverà il suo ultimo film Lei mi parla ancora, con uno strepitoso Renato Pozzetto in un ruolo drammatico.
Dai telefonini passo alla messaggistica istantanea. Non so come siete messi voi con le applicazioni dei telefonini, da WhatsApp a Twitter, da Facebook alla famigerata Tik Tok sotto accusa per orribili impieghi. Io continuo a ignorarle, concedendo qualche approccio solo quando figli o nipoti mi interpellano. In definitiva: dipendesse da me terrei su internet solo la cara, vecchia posta elettronica, cioè l’e-mail a cui resto fedele, anche per sfuggire ai pericoli che corrono le greggi di utilizzatori dei social-media più diffusi. Funziona dal 1971, cioè da quando venne inventata da Ray Tomlinson, programmatore statunitense assunto dal Pentagono per facilitare le trasmissioni delle forze armate e successivamente passato allo sviluppo di Arpanet, una rete che collegava i giganteschi computer delle università statunitensi.
Poiché gli utenti potevano scrivere messaggi, ma per scambiarseli tra loro dovevano stamparseli e inviarli per fax o per posta, Tomlinson modificò Arpanet in modo da poter trasmettere il testo digitale anche da un nodo all’altro della rete di computer dislocati nelle principali sedi universitarie americane: era la posta elettronica. Tomlinson scelse addirittura anche il segno @ per dividere il nome del destinatario da quello della macchina. Eppure, pur avendo realizzato un prototipo che doveva rivoluzionare il sistema delle comunicazioni, non guadagnò neppure un dollaro dalla sua scoperta: un pozzo tecnologico in cui oggi sguazzano decine di multinazionali e pochi miliardari americani e cinesi.
L’ultima tessera del mio trittico sull’informazione nasce da una notizia apparsa su giornali e media online, ma relegata un po’ da tutti fra quelle poco importanti. Di fronte ai collegamenti del web si è portati a credere che le meraviglie digitali arrivino solo dai satelliti. Invece la via prediletta, stranamente e anche paradossalmente, è ancora quella dei più sicuri fondali marini, proprio come nel secolo scorso. La conferma giunge dalla Francia dove in questi giorni sta entrando in funzione il collegamento del cavo sottomarino voluto da Orange (ex France Telecom) e Google per trasmissioni di dati tra Virginia Beach negli Stati Uniti e Saint-Hilaire-de-Riez, in Bretagna nei pressi di Nantes. Quest’opera (porta il nome di «Dunant»: solo omaggio al fondatore della Croce Rossa o anche simbolo per fugare future guerre geopolitiche?) sarà presto affiancata – ulteriore prova della posizione dominante in questo campo della Francia in Europa – da un secondo cavo transatlantico ancora più potente (consentirà di trasmettere 368 Tbps, cioè 368’000 miliardi di bit al secondo).
Denominato «Amitié» è stato voluto e realizzato da un consorzio composto sempre da Orange, ma per la parte statunitense da Facebook e Microsoft: collegherà il traffico di dati internet dagli Stati Uniti a due terminali europei a Bude, nel sud dell’Inghilterra (primo omaggio alla Brexit?), e a Le Porge, vicino a Bordeaux. Il fatto che entrambi i cavi garantiranno soprattutto il traffico di dati dei giganti della «Big Tech» – ci sono Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft – lascia credere che l’investimento non riguarderà solo la tecnologia dell’informazione o del «cloud gaming» (il mercato dei videogiochi) già attivi, ma punterebbe anche all’organizzazione e gestione di un futuro «cloud working» per servizi, logistica, commerci, formazione, guida autonoma ecc. ecc., cioè quella che sarà l’economia digitale/virtuale.
Trittico tecnologico
/ 22.02.2021
di Ovidio Biffi
di Ovidio Biffi