Tra desiderio e rifiuto

/ 12.11.2018
di Franco Zambelloni

Periodicamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità lancia segnali per mettere in guardia contro nuovi rischi per la salute; tra i fenomeni segnalati, quelli denominati DCA (disturbi del comportamento alimentare) sono tra i più indicativi delle tendenze del nostro tempo. In particolare, sorprende che fenomeni come l’anoressia e la bulimìa siano sempre più diffusi tra i giovani: dopo gli incidenti stradali, i disturbi del comportamento alimentare sono la maggior causa di morte tra le ragazze adolescenti. Il sesso femminile è infatti il più incline a tendenze anoressiche, tanto che in passato si riteneva che questa patologia colpisse soltanto le femmine; ma ultimamente i dati raccolti indicano che molti disturbi alimentari coinvolgono anche i maschi, nella misura del dieci per cento circa della statistica patologica.  

Il comportamento patologico dei maschi sembra però almeno parzialmente diverso e assume nuove forme (per le quali, ovviamente, si coniano nuovi termini clinici): «ortoressia» è chiamata l’ossessione per un’alimentazione sana; un’altra ossessione che comporta ansie alimentari concerne il volume muscolare («bigoressia»). Non serve molta fantasia per congetturare che alla base di queste forme ossessive vi sia anche la pressione psicologica esercitata dai media: da un lato, se un ragazzino vuole essere ammirato deve esibire una muscolatura atletica, deve imitare i divi sportivi e cinematografici; dall’altro, il martellante risuonare degli allarmi salutistici, la denuncia di possibili effetti dannosi di un’alimentazione sbagliata possono ingenerare paure eccessive in tanti giovani inclini all’ansietà. Però ci sono anche i tanti – o troppi – casi di obesità: gli Stati Uniti sono il Paese dove la condizione obesa rischia di diventare addirittura un’emergenza sanitaria, coinvolgendo più del 40% della popolazione. Insomma, tra carenze ed eccessi alimentari sembra che un rapporto equilibrato e corretto con il cibo divenga sempre più difficile. Se in passato ci furono tempi nei quali la gente moriva di fame, oggi – almeno alle nostre latitudini – si muore assai più per gli eccessi alimentari che per la mancanza di cibo. Il che conferma che, come sempre, si passa da un eccesso all’altro: solo che, nel caso delle carestie del passato, l’eccesso del digiuno era soprattutto subíto, imposto dalla miseria; oggi, nell’era dell’abbondanza, l’abbuffata è voluta e s’inquadra perfettamente nella logica consumistica prevalente. I poveri affamati della letteratura ottocentesca – quelli narrati da Dickens o da Victor Hugo – non esistono più; di poveri, beninteso, ce ne sono ancora, ma di altro tipo – quelli che soffrono di esclusione, precarietà, miseria culturale e sociale, ma che ben difficilmente sono costretti alla fame.

Comunque, il rapporto con il cibo è sempre stato ben più che un semplice bisogno fisiologico. Tra l’alimentazione e l’affettività c’è un legame che la psicologia ha evidenziato da tempo: l’anoressia nervosa, in particolare, si lega spesso a turbe affettive. Ma anche la cultura ha sempre introdotto curiosi valori simbolici tra il cibo e la bocca: si pensi agli alimenti ammessi e a quelli proibiti dalle diverse religioni, a ciò che è «puro» e ciò che è «impuro», alle stravaganti prescrizioni alimentari del Levitico, all’obbligo del digiuno nei periodi del sacro e della penitenza. Ci sono santi, come Girolamo e tanti altri Padri del deserto, le cui pratiche di digiuno sembrano incredibili e veramente sovrumane, se si deve dar retta ai loro biografi. Ma ci sono anche studiosi come Rudolph Bell, che nel suo libro La santa anoressia riconosce, nelle testimonianze su grandi mistiche cristiane come Chiara d’Assisi e Caterina da Siena, palesi indizi clinici e psichiatrici di ossessioni anoressiche. E poi ci sono figure letterarie – come il Pantagruel di Rabelais – nelle quali la voracità viene esaltata fino all’inverosimile. Insomma, il rapporto con il cibo può sempre essere ambivalente e oscillare tra l’avidità e il rifiuto: un poeta come Leopardi, ad esempio, ha scritto versi – tra i meno noti – in cui inveisce contro i maccheroni, che a Napoli non volle neppure assaggiare; o altri versi ancora in cui esprime il suo disgusto per una minestrina: «Ora tu sei, minestra, dei versi miei l’oggetto, / e dirti abominevole mi apporta un gran diletto». 

La superiorità dell’Homo sapiens si vede dunque non solo nel fatto che siamo l’animale onnivoro, ma anche perché insaporiamo il cibo di vari condimenti, compresi versi poetici.