Su «Il Sole 24 Ore» del 1. agosto mi colpisce questa frase: «Non si ha davvero idea di quale ecatombe di posti di lavoro e imprese stia avvenendo nel turismo, né di quella che avverrà nel 2021». Immagino che qualche timore aleggi anche sul futuro del turismo cantonale, nonostante gli sforzi che l’Agenzia turistica ticinese sta compiendo, supportata da istituzioni e dai settori imprenditoriali dei commerci e dei servizi. Al di là di aiuti, sussidi e garanzie già approntati per superare la pandemia, la domanda che conta riguarda la capacità di attrarre ospiti e di rimettere in moto un settore zavorrato da un trimestre di forzata inattività. Il filone più gettonato della campagna promozionale è lo «stay at home», con BancaStato in esemplare ed encomiabile evidenza a movimentare ristoranti e alberghi grazie alla forza del suo «Vivi il tuo Ticino». Ma anche altri cantoni e una miriade di località turistiche estere ancor più competitive (i prezzi austriaci o le spiagge italiane sono difficili da concorrenziare...) stanno insistendo sullo stesso richiamo, rafforzato spesso con il prefisso «eco» a conferma che nel marketing un po’ di «eco-qualcosa» è sinonimo di successo sul piano mediatico.
Gettando un’occhiata a una dozzina di queste promozioni alla ricerca di potenziali incentivi utili anche da noi, ci si accorge che in prevalenza si orientano verso due sole nicchie: arte e natura. Inizio dall’arte, chiedendomi se in Ticino sia possibile scoprire qualcosa di nuovo e genuino sotto il profilo artistico, da potenziare e da offrire come attrazione turistica. Provo a immaginare la risposta tenendo come guida la scritta sotto il logo dell’Agenzia («piccoli momenti / grandi emozioni») e mi accorgo che il motto diventa più accessibile semplicemente rovesciandolo: possono essere le «piccole emozioni» a dare vita a «grandi momenti». Ricordo che in piena crisi sanitaria avevo trovato potenziali suggerimenti per il turismo in un articolo (di Matteo Airaghi del CdT) riguardante una mostra in allestimento alla Pinacoteca Züst di Rancate sino a ottobre: uno sguardo completo sulla pittura espressionista di Jean Corty. Primo input: Rancate, bel paesotto che nonostante le stimmate viarie mantiene atmosfere di ruralità ticinese e conserva una preziosa pinacoteca. Secondo impulso: una mostra capace di cogliere l’anima autentica di un artista emarginato e trascurato per oltre mezzo secolo. Corty non era proprio un «maudit», ma di sicuro un artista perseguitato da quel «maledettismo» che contrassegnò anche gli ultimi anni di Van Gogh: figlio di emigranti, ritornò in Ticino poco più che ventenne negli anni Trenta per essere purtroppo ospite più del manicomio di Mendrisio che di altri luoghi. Terzo e ultimo spunto: la disponibilità sia di chi un tempo ha aiutato o comunque ascoltato un artista sfortunato comprandogli le sue opere, sia di curatori d’arte impegnati a salvaguardare le radici di un rinascimento culturale. Il collegamento fra quei tre punti, cioè il paese defilato, il pittore minore e l’impegno prolungato, non presenta forse tutta una serie di «emozioni» indicative anche per altre offerte di nicchia?
L’incentivo per la natura lo trovo nientemeno che in Hermann Hesse. O più precisamente: in un notevole saggio del geografo luganese Claudio Ferrata sulla «fabbricazione» di un’ideale paesaggio turistico in cui venivano riportato i giudizi dello scrittore tedesco su quanto i turisti trovavano a sud delle Alpi nel periodo fra le due guerre del secolo scorso. Nel breve racconto Die Fremdenstadt im Süden, pubblicato nel 1925, Hesse accennava a una «città per stranieri» e a una «urbanità meridionale» capaci di soddisfare le esigenze e le aspirazioni etiche ed estetiche dei visitatori di allora, quindi di un nuovo modo di fare villeggiatura, lontano da certe «cineserie» utili solo al turismo di massa. Citando Lugano e i suoi dintorni, Hesse scriveva: «Questa città è una delle iniziative più divertenti e redditizie dell’ingegno moderno. La sua nascita e installazione si basa su una sintesi geniale che può essere stata concepita solo da conoscitori molto profondi della psicologia degli abitanti della metropoli (…) Questa creazione realizza infatti in modo ideale, perfetto, ogni desiderio di vacanza e natura dell’individuo metropolitano medio». Ma c’è di più: per lo scrittore di Montagnola il turista che sceglie il Ticino «esige anche compagnia, esige igiene e pulizia, esige una atmosfera cittadina, esige musica, tecnica, eleganza, si attende una natura del tutto sottomessa all’uomo e da lui rimodellata, una natura che gli dia stimoli e illusioni ma anche sia docile e non gli chieda niente, nella quale potersi trapiantare con tutte le sue abitudini metropolitane, le sue usanze ed esigenze». Suggerimenti attualissimi, di grande aiuto per un Ticino turistico che fra due guerre (sia pure minori: crisi economica e emergenza sanitaria) torna a cercare nuovi «momenti» per donare nuove «emozioni».