Non so voi cari lettori ma io quest’anno, un po’ per le insolite circostanze, un po’ per comodità, i pochi regali che avevo in mente li ho scelti e acquistati online. Per una volta ho deciso di non ascoltare la mia vena romantica e sognatrice, quella che ogni anno mi portava a perdermi tra i mercatini di Natale e i negozi luccicosi addobbati a festa. In pochi minuti, dal pc di casa, con qualche idea chiara e la carta di credito a portata di mano, ho fatto i miei acquisti: un paio di Baabuk blu, una radio digitale vintage, dei libri e un umidificatore ad ultrasuoni di olii essenziali. Tutti ordinati online senza poesia, ma con la certezza del risultato e la convenienza di vedere tutto recapitato a casa prima di Natale. «Che orrore!» avrei detto negli anni scorsi....
Ma il punto, in verità non è questo, non è quello di discutere dove e perché sia meglio acquistare ma di comprendere quali conseguenze, quale impatto i cambiamenti nei nostri consumi e nelle nostre abitudini avranno sul nostro stile di vita, sul nostro tessuto sociale e urbano e sull’ambiente nel quale viviamo. Siamo veloci infatti nell’abbracciare le nuove opportunità che la Rete e il mondo digitale ci offrono, d’altronde è così facile guardare uno schermo e decidere che cosa comprare ma che cosa c’è dietro, da dove vengono i prodotti che ordiniamo, in quale magazzino si trovano?
È una riflessione che io per prima non avevo mai fatto con coscienza fino a quando, tutta soddisfatta dei miei acquisti online, mi sono ritrovata a leggere di una nuova mostra in programmazione al museo Guggenheim di New York. A dirigerne e a curarne i lavori sarà l’archistar olandese Rem Koolhaas, tra i più influenti e discussi teorici dell’architettura contemporanea, considerato un maestro dell’urbanistica. Da sempre attento alle trasformazioni delle città ha ora deciso di dirigere lo sguardo sulla campagna, sul territorio extraurbano. E in diverse sue interviste, una in particolare pubblicata sulla «Neue Zürcher Zeitung», ha spiegato il perché di questo suo nuovo sguardo: «Dietro le quinte della città abitano tutte quelle cose di cui una città ha bisogno per sopravvivere. Ma in città non vi è più spazio per l’infrastruttura necessaria ad alimentare e sostenere la nostra economia digitale, nelle nostre città non c’è più spazio per i giganteschi magazzini di Amazon o per i grandi data center». Dunque i grandi edifici di cui la nostra nuova economia digitale ha bisogno sono troppo grandi per essere messi nelle nostre città e se vogliamo continuare ad intrattenerle e alimentarle nella loro ricchezza la campagna deve essere ripensata, strutturata in un modo completamente nuovo rispetto al passato.
Per rendere l’idea basta fare l’esempio della Gigafactory Tesla realizzata a Reno in Nevada, in mezzo al nulla. Costruito per soddisfare la richiesta di batterie al litio per i veicoli elettrici del prossimo futuro questo edificio lungo 2 km copre un’area, destinata a crescere, di 1200 ettari (tre volte il Central Park di New York). Vicino ai confini di questo edificio dalle dimensioni mostruose alimentato con energie rinnovabili, ogni tanto viene a brucare l’erba qualche cavallo selvaggio e, se ci si sposta qualche chilometri più in là, ci si imbatte invece in The Citadel, il campus della Switch, uno dei data center più grandi e avanzati al mondo.
Dunque non lasciamoci illudere dalla luminosità dello schermo, dalla velocità e ubiquità della connessione, dalla praticità delle nostre transazioni online, dall’invisibilità di tutto questo che pare leggero e inconsistente come una nuvola perché da qualche parte nel mondo prende forme e spazi non indifferenti partecipando di fatto a quella trasformazione delle campagne e del territorio extraurbano di cui parla l’architetto Rem Koolhaas e che sarà al centro della mostra a New York, dal titolo Countryside: future of the world.