Ora che l’Epifania tutte se le è portate via è tempo di bilanci. Nei due anni della pandemia, tutte le forme di socialità e soprattutto quelle conviviali avevano giocoforza rallentato ritmi e partecipazione. Cartelloni e programmi saltati, stadi deserti (siete mai entrati in uno stadio deserto? Vi aleggia un senso di pace, ultraterrena tregua, che altroché il monastero di San Gallo) almeno fino alla vendetta delle resse balneari da sbarco in Normandia dei concerti ecologici dei Jovanotti di questo mondo – quelli che hanno messo a ferro e fuoco al di qua delle Alpi i nervi di fine estate.
In quel clima, profeti e indovini, oracoli, sociologi, terapeuti psico – e non, e commentatori di ogni sorta di militanza – a volte anche intelligenti – avevano chi pronosticato, chi predetto, chi augurato e chi tutti e tre, rivoluzioni epocali nei nostri usi e costumi, pentimenti, confiteor e mea culpa e de profundis di ogni risma. Il mondo, il nostro mondo intimo, familiare, borghese, poverino – si vaticinava – non sarebbe mai più stato lo stesso, sconvolto dalle restrizioni sull’affollamento in discoteca e allo stadio (meno nelle chiese dove le distanze di sicurezza sono da mo’ voragini) e dalla riduzione degli orari di apertura dei centri commerciali. Passata a’ nuttata il Santo Subito si trova come sempre gabbato: non è successo niente di che. Un bonus natalizio al personale sanitario che da Eroe Collettivo consacrato dai media è diventato scomoda Cassandra e via andare.
Che niente sarebbe più stato come prima già lo si sapeva almeno perché è sempre stato così – giorno dopo giorno e non se ne sbaglia uno – da quando Homo Erectus, quello della postura da hombre vertical antropocenica (oggi i geologi ci istruiscono si dica così) ma anche tanto antropogenica. O forse è troppo presto per dirlo e occorre aspettare di vedere fino in fondo gli esiti a lungo termine della peste nera del 1348 e quelli dello tsunami storico della Rivoluzione francese gli effetti della quale – ammoniva il Grande Timoniere ben prima che la Cina indicasse al mondo le vere coordinate del Sol dell’Avvenire – è troppo presto per valutare. Restiamo disponibili.
L’Altropologo, però, che ha fretta di chiudere i conti perché già intravvede lo striscione del Traguardo – finalmente perché l’antropologia (anch’Ella triste scienza) non è mai stata in grado di insegnare al mondo alcunché al contrario della fisica atomica – è rimasto ad osservare dal suo osservatorio privilegiato.
Mascherina FP4 regolamentare e taccuino degli appunti alla mano, siamo ora in grado di annunciare che non è successo niente. Dopo tutto e come conseguenza di un sempiterno Dopo Prima per cui – adamantina – l’Antropocenico Protagonista si avvale della facoltà di non ricordare. Dopo Prima, Dopo Dopo, Dopo per Sempre. Presi in mezzo ogni tanto ci tocca, governo ladro, una brutta nottata che ha visto lupi pattugliare strade deserte e cervi e caprioli sfidarsi a machocornate sulle piste dei ponti senza traffico… Cinghialazzi alfa stravaccati al sole sulle panchine di parchi pontifici senza pensionati e abbandonati mentre Sora Cinghialona fa shopping al supermercato per i cucciolotti che sono così teneri (ops…).
Una visione terribile e destabilizzante della jungla antropocenica prossima ventura, non più primordiale ma terminale, allegramente. Dove una Jane emancipata attende il suo novello e riformato Tarzan. Nella fattispecie Esploratori che siano stavolta, al contrario dei loro avatar, scrutinati e vaccinati come politically correct al passo/cadenza/passo (op/due/passo/bum) coi tempi. Tutti allineati e coperti. Poiché ahimè l’Altropologia è una scienza (trista) suo malgrado engagé che fa l’Indiana – non Jones – ovvero in sostanza fifona. Il tutto nella speranza, over certezza, che niente ci cambierà la vita. Ovvero. Cioè… un momento..
Auguri urbi et orbi di un Buon Anno dal Fronte Orientale, averaged medioevo interminabile: passato futuro prossimo venturo.