Teleguidati, sul set e nella vita

/ 27.07.2020
di Bruno Gambarotta

Abbiamo notato tutti che la pubblicità, in questo periodo di forzata convivenza, ha messo sovente al centro degli spot la famiglia. Stando tutti seduti davanti al televisore, abbiamo deciso di dare una mano ai pubblicitari mettendo a disposizione le esperienze della nostra famiglia. Siamo partiti da un’osservazione del semiologo Alberto Abruzzese, secondo il quale la pubblicità è catastrofica per definizione, deve cioè interrompere un’armonia, un ordine, per farsi notare. Salvo poi ricomporre il quadro grazie all’impiego del prodotto reclamizzato.

Secondo Abruzzese queste operazioni di temporaneo disturbo su collaudate consuetudini ci risultano in definitiva piacevoli perché vengono incontro a un nostro desiderio inconfessato. Deve trattarsi dello stesso piacere che procurano i film catastrofici. Quanto mi piacciono! Posseggo un’intera collezione di quelli classici. Continuano a produrne di nuovi ma per i miei gusti hanno trame troppo complicate da seguire e sovente, non sapendo come cavarsela, ricorrono a interventi sovrannaturali che detesto.

Preferisco rivedere per l’ennesima volta L’inferno di cristallo, con gli invitati alla festa per l’inaugurazione in cima al grattacielo isolati dalle fiamme che stanno divorando mobili e arredi dieci o quindici piani più in basso. L’incendio è originato dai materiali scadenti usati per l’impianto elettrico dalla ditta che ha vinto l’appalto. Per nostra fortuna sono cose che succedono soltanto in America. Ogni volta che rivedo il film mi congratulo con me stesso: «Ho fatto bene a rimanere a casa e a non andare al ricevimento». Dice una fastidiosa vocina: «Mica t’avevano invitato!» Cosa c’entra?

Io intanto sono qui al sicuro a casa mia, in pigiama, mentre quei poveretti in abito da sera sono lambiti dalle fiamme, compreso il direttore che aveva approfittato della festa per appartarsi in un alloggio vuoto con la segretaria che si capisce benissimo che non è sua moglie. Quando i due peccatori si accorgono delle fiamme è troppo tardi per salvarsi e vengono puniti dalla G.D. (giustizia divina). Fra gli invitati alla festa c’è anche il sindaco con la sua signora, una bella cicciona coperta di gioielli. Se imitavano il mio esempio e rimanevano a casa a guardarsi un film catastrofico, adesso erano al sicuro. E il film non si faceva, ma questo è ancora un altro discorso.

Una serie stupenda di film catastrofici è ambientata sugli aerei, intitolata Airport. Peccato però che gli episodi finiscano sempre bene; mal che vada, muore qualcuno dell’equipaggio e della squadra dei soccorritori. Ma quelli non contano, il loro contratto di attori prevedeva l’eventualità del sacrificio. I passeggeri si salvano sempre.

Il primo film della serie Airport è anche il più bello. Inizia con tutte le cerimonie della partenza e la rassegna del campionario di umanità, compresa la capa delle hostess che ha appena finito di litigare con il marito che, vedi i casi della vita, comanda la torre di controllo. E già lì si capisce che ne vedremo delle belle. L’aereo è un Boeing 707 in volo inaugurale su una nuova linea e perciò a bordo ci sono, oltre ai normali passeggeri che troviamo in ogni viaggio aereo (la suora, l’ubriacone, l’attore fallito, la bambina in dialisi) una bella manciata di Vip che viaggiano gratis e sono trattati meglio degli altri. Fossimo in Italia sull’aereo ci sarebbero solo Vip e sarebbe ancora più divertente vedere che se la fanno sotto.

Durante il decollo scopriamo che nel cielo sopra l’aeroporto c’è anche un altro aereo che attende il suo turno per atterrare. Su questo piccolo aereo c’è solo il pilota, un uomo d’affari anzianotto che muore fulminato dal classico infarto alla cloche. L’aereo inizia a volteggiare nell’aria e con tanto spazio a disposizione dove ti va a cadere? Avete indovinato, proprio sulla cabina di pilotaggio del nostro Boeing 707. Piloti e ufficiali di rotta o muoiono subito o diventano ciechi che, per uno che fa il pilota  d’aereo è quasi peggio che morire. Iniziano i concitati colloqui con la torre di controllo a terra. La capa delle hostess, istruita via radio dal marito, riesce, seduta al posto del pilota nella cabina mezzo sfondata e sferzata dall’aria gelida, ad inserire il pilota automatico. E fin lì Transit, come dicono i venditori della Ford.

L’incredibile accade in conclusione del film quando, andati a vuoto i ripetuti tentativi di calare con il verricello dall’elicottero dentro lo squarcio un vero pilota, la suddetta signora riesce, sempre teleguidata da terra dal marito che signorilmente passa sopra al litigio di prima della partenza, a pilotare l’aereo, facendolo atterrare a regola d’arte. Il film non lo dice, ma di sicuro i passeggeri messi in salvo avranno dato una bella mancia alla capa delle hostess anche se sugli aerei non si usa.

Sono sicuro che gli sceneggiatori del film hanno copiato i dialoghi fra me e mia moglie quando lei, in vacanza con i figli, tenta invano di teleguidarmi per programmare la lavatrice.