Da squillo occasionale, che poteva incuriosire, a valanga assordante, da cui proteggersi : è cresciuto, a gran ritmo, nel giro dell’ultimo decennio, il fenomeno delle chiamate promozionali. Le prime avvisaglie risalgono, se ben ricordo, agli anni 70/80, quando, alzando la cornetta, capitava di ascoltare una voce, sempre maschile, che proponeva, con un certo sussiego, l’acquisto di vini francesi pregiati a prezzi vantaggiosi. Oppure, enciclopedie, dalla Treccani alla Britannica, o collane tipo i Nobel, in volumi ben rilegati, destinati a un uso più decorativo che pratico. In proposito, devo confessare di non averli neppure sfogliati, considerandoli bei pezzi d’arredo quasi intoccabili. Tutto ciò per dire che, agli esordi, la telefonata pubblicitaria concerneva prodotti allora non correnti, che contribuivano al cosiddetto bon ton borghese. E, soprattutto, queste sollecitazioni giungevano a dosi moderate. Poi, in un clima consumistico sempre più concorrenziale, favorito dalla nuova telefonia, esplose il boom.
Il campo d’intervento si allargò, così in fretta e in tali proporzioni, da pregiudicarne gli effetti, commerciali e psicologici. Insomma, quella voce, maschile o femminile, che fingendo familiarità si presenta con il nome di battesimo, per offrire una merce o un servizio qualsiasi, alla stregua di un affare o rarità da non perdere, è diventata una delle più temute scocciature quotidiane.
A prima vista, può sembrare un fastidio banale, se capita una volta. Ma la ripetitività e l’insistenza rischiano di trasformarlo in ossessione. In definitiva, comporta un’invasione di campo nei confronti di uno sconosciuto, a cui strappare il consenso per un acquisto indesiderato. Le cifre, del resto, giustificano l’allarme: in Svizzera si registrano 18 milioni di chiamate indesiderate al mese. Questione di quantità ma anche di qualità delle offerte. Non più vini, aspirapolvere, libri d’arte, come usava una volta. Adesso si punta su settori più che mai attraenti, ma in pari tempo delicati: come il benessere da ottenere con diete, rimedi, attrezzi, cosmetici, esercizi che appartengono al filone naturale, oggi in auge. E, rappresentano sempre un’alternativa alle tariffe ufficiali, le offerte concernenti abbonamenti a reti radiotelevisive o telefoniche, ovviamente meno costose. Proprio qui, nell’ambito più rappresentativo in quanto carezza, cioè le casse malati, tormentone nazionale, hanno trovato posto, negli ultimi mesi, i lanci telefonici di offerte assicurative largamente vantaggiose. Tanto da insospettire e provocare le proteste delle «Sette Grandi Sorelle» sul fronte assicurativo: che denunciano «un danno d’immagine» per la categoria e chiedono l’intervento politico. In parole povere, arginare la valanga delle chiamate promozionali che, nostro malgrado, appartengono alla libertà d’espressione, di commercio e addirittura un’occasione lavorativa.
A loro modo, i call center, e sono ormai oltre 20’000 in tutto il paese, lanciano un’ancora di salvezza a persone che, per motivi diversi, si trovano esclusi da una società, per altro esigente. Si tratta di una sorta di isola dove approdano giovani, ancora incerti, madri di famiglia non disponibili per il tempo pieno, cinquantenni e oltre che stentano a reinserirsi nella vita professionale. «Non voglio simpatie per il nostro settore, ma soltanto comprensione» dichiarava, recentemente, Willi Wolf, direttore di «callExpert», all’inviata del «TagesAnzeiger», Denise Jeitziner, autrice di un servizio dal titolo esplicito Die Störenfriede: i rompiscatole. L’obiettivo, però, non era ribadire quanto superfluo e fastidioso sia questo genere di attività ma, piuttosto, dimostrare che, coi tempi d’insicurezza e di rivoluzione tecnologica che corrono, il famigerato call center giustifica la sua presenza. Del resto, almeno nel caso raccontato dalla giornalista zurighese, l’azienda organizza corsi di apprendistato per imparare un mestiere che, a quanto pare, è chiamato a rispettare orari e condizioni salariali corretti. In proposito il Ticino potrebbe far eccezione.
Ma, concludendo, quali sono le prospettive di successo delle telefonate?
Basse: «Un sì dopo 24 no» dichiarava un’intervistata. «Un lavoro ingrato: bisogna farselo piacere». Ma come tanti altri.