La Svizzera è retta da una tecnocrazia, più precisamente da una tecno-democrazia? Per Parag Khanna, «stratega geopolitico» e autore di un volume intitolato La rinascita delle città-stato, la risposta è sì: la Confederazione ha queste caratteristiche, al pari di Singapore, piccola repubblica asiatica super-efficiente e super-armata, ordinata e linda. Khanna non ha dubbi: «un ibrido fra la democrazia diretta della Svizzera e la tecnocrazia di Singapore – una tecnocrazia diretta – è la forma migliore di governo per il XXI secolo. Se Platone fosse vivo oggi sceglierebbe gli svizzeri, istruiti e impegnati, come i cittadini ideali della sua repubblica, e i tecnocrati di Singapore, con la loro rigorosa formazione, come i suoi Guardiani. Un ibrido fra queste due nazioni sarebbe il regime più noioso ma senza dubbio più efficiente del mondo – ossia esattamente ciò a cui ogni paese dovrebbe aspirare».
C’è sempre da imparare dagli stranieri che osservano la nostra realtà con occhi vigili. Spesso chi viene da fuori individua dinamiche che a noi sfuggono, prigionieri come siamo di consuetudini e rigidità mentali. Ma altrettanto spesso l’ammirazione espressa per il modello elvetico corre parallela alla denigrazione rivolta all’Unione europea, al disprezzo per la burocrazia di Bruxelles o per le politiche comunitarie, dall’euro al clima. Oppure si adula la Confederazione solo per parlar male del proprio paese, considerato vampiresco e corrotto.
Nel caso di Khanna, la prospettiva è diversa. Leggendo il suo libro si capisce quale potrebbe essere il prossimo stadio dei sistemi di governo che non coltivano mire dittatoriali. Sistemi dunque, a prima vista, democratici e liberali, ma che non fanno mistero di voler rendere felice la cittadinanza. La democrazia, infatti, non basta, non può essere un fine in sé: lo scopo è il benessere del maggior numero possibile di cittadini, la buona amministrazione, insomma l’efficienza dell’apparato statale. «Tutte le società desiderano ormai un equilibrio fra prosperità e vivibilità, apertura e protezione economica, governance efficace e ascolto della voce dei cittadini, individualismo e coesione, libertà economica e welfare. I normali cittadini non misurano tutto questo sulla base di quanto è “democratico” lo Stato in cui vivono, ma su quanto si sentono sicuri nelle loro città, possono permettersi una casa e un lavoro stabile, quali sono le loro prospettive per la vecchiaia e la possibilità di restare in contatto con i propri familiari e amici».
All’orizzonte di questa visione utilitaristica non c’è la politica ma la «policy», non il governo ma la «governance». Il mutamento lessicale è sintomatico. Entrambi i termini provengono dal vocabolario d’impresa; significano l’uno «indirizzo» o «linea-guida», l’altro «conduzione» o «direzione aziendale». Nessuno dei due si apparenta con elezioni, partecipazione, legittimazione democratica. Sono parole nate nel contesto del management privato poi trasmigrate nella sfera pubblica. Si badi: non è solo una questione di forma, è un passaggio che riflette il cambiamento in atto nelle democrazie occidentali, ovvero la crescente volontà di assegnare ad un cenacolo di esperti (i tecnocrati) il governo della cosa pubblica. Secondo Khanna, il nostro paese ha già compiuto questo passo; «la Svizzera – su questo non dobbiamo illuderci – è un sistema altamente tecnocratico».
Ma perché dovremmo consegnarci ad una tecnocrazia, o – in altre parole – ad un’élite illuminata? Perché solo loro, i tecnici, sanno cogliere e interpretare i bisogni della collettività; solo loro sono in grado di capire e risolvere tramite provvedimenti sensati i dilemmi che angustiano le società complesse, in campi quali l’energia nucleare, la difesa, la sanità pubblica, la disoccupazione, l’immigrazione, la sicurezza. La democrazia – come sosteneva già Platone – scivola facilmente nella demagogia (oggi diremmo nel populismo), e quindi nella schiavitù.
Come indicano i segnali provenienti dalle sedi storiche dei regimi parlamentari, la tentazione di abbandonare le vecchie strade per affidarsi a super-esperti, o presunti tali, è ricorrente. Ma c’è un aspetto che andrebbe chiarito oltre alla questione della legittimazione dei nuovi poteri. Una tecnocrazia deve per forza fondare la sua azione di governo su montagne d’informazioni raccolte tra i cittadini in ogni momento della loro giornata, come già fanno le grandi aziende attive nella distribuzione e nella gestione dei traffici in rete. Soltanto attraverso tale accumulo di dati («Big Data») in continuo aggiornamento si potrà aggirare le consultazioni popolari e dunque dichiarare obsoleto il voto. Sarà la cittadinanza digitalizzata, munita di codice a barre, la nuova frontiera che ci attende?