Svizzera-Ue: continua il tormentone

/ 14.02.2022
di Angelo Rossi

Dopo qualche mese di relativa stasi la questione dei rapporti della Svizzera con l’Unione europea è tornata alla ribalta dell’attualità nazionale. Come si sa il Consiglio federale ha deciso, nella primavera dello scorso anno, di abbandonare le trattative per un accordo quadro. Questo dopo un surplace di più anni che aveva messo in ombra anche le prodezze di un Antonio Maspes ai campionati mondiali di velocità su pista degli anni Sessanta dello scorso secolo. Si sbagliava però chi pensava che il dossier era stato oramai messo da parte. Dopo aver deciso che un accordo quadro non si poteva fare, il nostro Governo sta, da qualche mese, cogitando come si potrebbe far ripartire la trattativa. L’unica certezza emersa fin qui è che le cose non possono essere precipitate. Lo ha affermato anche il consigliere federale Cassis in un’intervista a un giornale domenicale di inizio febbraio.

Con molta probabilità, quindi, il nostro Esecutivo continuerà a muoversi a passo di lumaca anche se, da Bruxelles, giungono inviti pressanti perché definisca una posizione per una nuova trattativa il più presto possibile. Sul fronte dei partiti non si muove una foglia. Alla destra, l’attuale situazione di stallo di sicuro non dispiace. La sinistra, invece, sta calcolando quale delle possibili varianti per nuove trattative le potrebbe convenire. Vi sono poi dichiarazioni tattiche di questo o quell’esponente dei due fronti politici che vanno prese per quel che sono, ossia semplici tentativi di farsi pubblicità in un momento nel quale sulle trattative con l’Ue si può dire di tutto e di più senza che qualcuno se la prenda. A contrastare l’attendismo dei politici sono venute, nelle ultime due settimane, le reazioni dei diretti interessati. L’associazione delle industrie farmaceutiche, che rappresenta una delle più importanti industrie esportatrici del nostro Paese (42% del totale delle esportazioni della nostra economia) in una conferenza-stampa ha dichiarato che la situazione attuale nelle relazioni con l’Ue potrebbe ripercuotersi negativamente sui vantaggi localizzativi che la Svizzera ha, fin qui, rappresentato per questa industria. Leggendo tra le righe, insomma, l’associazione teme che, se le relazioni con l’Ue non vengono rapidamente sistemate nell’industria farmaceutica, le delocalizzazioni potrebbero moltiplicarsi. Qualche giorno più tardi il messaggio dei farmaceutici è stato ribadito nella conferenza-stampa annuale di Economiesuisse, l’associazione mantello delle industrie svizzere.

Stando al presidente di questa associazione, Christoph Mäder, sono tre gli ostacoli che presenta la situazione di incertezza attuale. Il primo è costituito dal fatto che l’Ue si rifiuta di attualizzare gli accordi bilaterali sugli ostacoli tecnici. Il secondo è rappresentato dall’esclusione della Svizzera dal programma di ricerca «Horizon Europe». Infine il terzo ostacolo è costituito dal blocco, da parte dell’Ue, di ogni trattativa relativa ad accordi di integrazione bilaterale. Se la situazione non muta diventerà sempre più difficile per le aziende del nostro Paese riconoscere quali saranno in futuro le condizioni-quadro che regoleranno le loro esportazioni verso i paesi dell’Ue. Come ha ribadito Mäder, i costi di questa situazione non sono quelli relativi alle difficoltà immediate che devono affrontare le aziende esportatrici, ma quelli relativi all’incertezza: questa pesa sulle decisioni di investimento futuro. Senza nominarlo con nome e cognome anche lui pensa quindi che, se non si riescono a chiarire le posizioni, ci sia un pericolo di delocalizzazione.

Le conseguenze negative per le attività di ricerca sono poi state al centro di un’intervista che la «Neue Zürcher Zeitung» ha fatto, inizio febbraio, a Joel Mesot, il presidente del politecnico federale di Zurigo. La situazione è nota: la Svizzera è stata esclusa dal programma di ricerca Horizon, un programma europeo da 100 miliardi di euro. Secondo Mesot questa decisione potrebbe compromettere la posizione di testa che, nella ricerca, hanno attualmente le università svizzere. Non è la prima volta che questo succede. Già nel 2014 la Svizzera era stata esclusa, per alcuni mesi, dal programma di ricerca in questione per poi esservi riammessa. Oggi, tuttavia, la situazione è più complicata. La decisione di Bruxelles sembra infatti sia stata presa per mettere sotto pressione le autorità elvetiche in vista di un rilancio delle trattative per un eventuale accordo-quadro. Non sarà quindi modificata tanto presto. Campa cavallo!