Svari(azi)oni sul var

/ 30.07.2018
di Cesare Poppi

Sarà stato il 1983, forse in aprile. Il Vostro Altropologo preferito passava alcuni giorni di pausa dalle fatiche della ricerca al villaggio di Jang, nel Nord del Ghana, presso la  missione romano-cattolica di Tuna, Distretto di Wa. Quella sera l’ormai leggendario Padre Bernard Hagen, bavarese certo in gloria, aveva programmato una serata cinematografica aperta a tutti gli abitanti del villaggio. Sul lenzuolo tirato fra due colonnine del portico della missione si proiettava dunque non potrei ricordare quale antico film di Guardie e Ladri: Ad un certo punto si mostrava l’arrivo di un treno inquadrato a partire da laggiù per poi farlo sfilare a tutta birra in piena «ripresa soggettiva» sulla camera appostata sui binari. Ricordo il nervosismo serpeggiante fra l’audience mano a mano che il treno si avvicinava – per poi trasformarsi in panico e fuggi fuggi quasi generale (chi non scappò dalla possibile strage mi disse in sostanza «di non aver capito» cosa stesse succedendo) quando la locomotiva finalmente «sfondò» lo schermo. Ricordo l’ilarità di quel buontempone che era Padre Hagen: «Ah, ah! Zono così primitifi da konfondere il kino kon la realtà – ah, ah!» . E «primitifi» si pensava di non essere più almeno da quando Marshall McLuhan ed i suoi innumerevoli epigoni provarono a far capire ad un’Occidente televisionato/mediatizzato (ma peraltro non in grado di digerirlo cum granu salis) che «the medium is the message». Che, tradotto in soldoni, vuol dire «quello che si vede in Televisione è la “verità”». Ma «verità» in senso condizionato dalle scelte mediatiche e confezionata ad uso e consumo dell’audience che «più vede e più ci crede» – come recitava già, peraltro e da sempre, il Proverbio a proposito delle attitudini cognitive del popolo bue. E poi era venuto il Sessantotto e tutta quella roba lì a persuadere – ci si illudeva finalmente – che la «realtà» mediatica fosse non solo progettata a tavolino e costruita ad artificio ma fosse anche – e soprattutto – modellata su misura delle aspettative dell’audience espresse per sondaggi e proiezioni statistiche: c’è veramente bisogno della conta elettorale testa-per-testa nel tempo dei sondaggi e degli exit-poll, come Davide Casaleggio, sponsor dei Grillini da questa parte delle Alpi domanda anche oggi? Insomma: si riteneva di aver educato un pubblico a ritenere che quanto visionato, ascoltato, piaciuto e dispiaciuto dai-, sui- e per- i media avrebbe in seconda battuta dovuto essere vagliato dal Tribunale della Ragione di giacobina memoria ed eventualmente spennato – mettiamola così – di eccessi ed inesattezze.

Siamo oggi – tempo di bilanci della Coppa del Mondo dello sport più amato al mondo – in grado di svilire il faticoso progresso della ditta McLuhan & Associates nella coscienza collettiva per creare la consapevolezza che – brutalmente – «kuello ke vedi in televisione “è vero”».

Entra infatti in scena il VAR (Video Assistant Referee) che mette a posto tutti sui dilemmi fondamentali dell’epoca che ci tocca vivere: «Il calcione che X ha tirato ad Y nella gara Z era calcione da rigore a vantaggio di Y con conseguente espulsione di X – od era invece un amichevole calcetto “tanto per fare la conoscenza” che merita l’espulsione di Y per simulazione di fallo?» – questo il dilemma.

Fino al VAR la situazione era come segue: venti/sessantamila paganti dell’audience vedono – e giudicano – l’Arbitro legislare coram populo pollice recto aut pollice verso se il criminale è X oppure Y. Fischi, urla e minacce, botte sugli spalti e divorzi al rientro a casa dell’uligano, come dice la cognata dell’Altropologo – e poi interminabili discussioni infra-settimanali nei media che di questo mangime si nutrivano. Col VAR in campo la canea pro-X/Y sembra – sembra – essersi calmata, o forse semplicemente perplessa mentre rimugina sul da farsi per poi in futuro, libera nos domine, reagire a modo suo. Allora: il giocatore X abbatte la controparte Y sul filo – plateale – del rigore. Confusione sì/no, rigore mi/mu/ma – insomma il solito teatrino. Ormai tutti – visto che non possono girarsela a modo loro – fanno il magico quadrato gesto (erede in tal senso del dito mediano): VAR!

L’arbitro prende atto della sua mancanza di giudizio («ero distratto», «forse al bar», «pensavo a mia moglie» – chissà cosa?) e indirizza alla canea il magico gesto: habeas VAR!

Canea per ora zittita. Arbitro corre dietro paravento VAR (fonti informate mi dicono non si possa per legge zoomare per vedere mediaticamente quanto arbitro vede); Arbitro vede pondera e decide sulla base di chi lui, la canea, i suoi assistenti e quanti altri sul divano di casa non hanno potuto, voluto o inteso vedere – tanto da far ricorso al VAR. Arbitro decide sulla base di quanto solo lui ha (s)visto ed interpreta l’Oracolo. Arbitro ancor più Onnipotente, dunque. Lui ha visto, Lui decide: e noi, che pure abbiamo visto, zitti e mosca – e la canea è (per il momento) zittita. Perché la Televisione/VAR dice la Verità. E la Verità che conta la decide comunque Uno Solo. Legittimato però non dal consenso di chi ha visto e assente/dissente dal giudizio su cosa sia veramente successo. «Veramente o VARamente»?! Questo, in sostanza, il dilemma Altropologico. Posso o non devo fidarmi che l’Arbitro non abbia, nei minuti blindati del VAR, rivisto la cerimonia della Santa Cresima di Sua Figlia – e/o non malignamo altro?

In sostanza, speculare e morale: Altropologicamente parlando, è più «primitivo» chi pensa che la locomotiva al cinema gli arriverà addosso oppure chi pensa che il VAR sia «la Verità»? Così il Vostro, mentre mesto si avvia agli spogliatoi, espulso per un fallaccio non commesso: VARdetto di VAR.