Superguns

/ 23.09.2019
di Cesare Poppi

«Quest’inverno i suddetti marinai del Re di Francia fecero grandi saccheggi e specialmente catturarono la grande nave chiamata Cristophe carica delle mercanzie e della lana che gli inglesi intendevano spedire nelle Fiandre, la quale nave era molto costata al Re d’Inghilterra: ma il suo equipaggio fu catturato e messo a morte dai Normanni». Questo quanto l’anonimo autore di una cronaca coeva scriveva della battaglia navale di Arnemuiden che si svolse il 23 settembre 1338. Era questo il porto dell’isola di Walcheren, oggi olandese ma allora avamposto marino delle Fiandre. Qui Edward III intendeva vendere un ricco cargo nel quale predominava la lana prodotta nei pascoli dell’East Anglia. Le cinque cocche della flotta inglese furono intercettate da uno squadrone di 48 galee francesi al comando degli ammiragli Hugues Quiéret e Nicolas Béhuchet.

Il primo obiettivo dei francesi era la cattura della maggiore delle caracche inglesi. Il Cristophe combattè l’intera giornata al comando di John Kingston. Colpito a morte il comandante, il Cristophe si arrese alle preponderanti forze francesi. Edward intendeva vendere la lana ai fiamminghi per pagare le spese di quella guerra – la Guerra dei Cent’anni – che avrebbe visto cinque generazioni di regnanti in Francia e Inghilterra combattersi per il diritto a sedere sul trono di Francia. Arnemuiden è oggi ricordata come la prima battaglia navale di quel secolo di guerre, ma anche e soprattutto per essere stata la prima battaglia navale dove fu usata l’artiglieria. Il Cristophe era infatti armato con tre cannoni e una pistola. Arnemuiden segnò un punto di non ritorno nell’escalation verso la costruzione di pezzi d’artiglieria sempre più grandi e potenti. Non si trattò, peraltro, di una semplice questione tecnologica. Si trattò, come ben emerge dallo studio di Carlo Cipolla Vele e Cannoni di una sorta di rivoluzione culturale che spostava l’enfasi della superiorità militare dal «fattore umano» (si fa per dire…) al fattore tecnologico. Da allora in poi il controllo dei mezzi di distruzione si sarebbe concentrato sulla costruzione di pezzi d’artiglieria sempre più grandi e potenti. Una sorta di deriva culturale per la quale «più grande vuol dire più potente» – sindrome tanto infantile quanto duratura nelle teste dei potenti di tutto il mondo (e mica è finita) accompagna la storia dell’Occidente da quei giorni fino ai Supereroi topgun della mitologia attuale. Ma andiamo con ordine. 

Orban, o Urban, era un artigiano ungherese passato alla storia come costruttore di cannoni giganteschi per gli Ottomani. Era nato a Brassò (oggi Brasov), in Transilvania, allora parte del Regno di Ungheria. Nel 1452 aveva offerto i suoi servigi ai Bizantini che si apprestavano ad affrontare l’ultimo, decisivo confronto con gli Ottomani. Ma l’imperatore Costantino XI non poteva permettersi né il salario chiesto dal misterioso Orban né possedeva i materiali necessari alla costruzione dei mostruosi cannoni. Orban allora si presentò al Sultano Maometto II e decantò la potenza dei suoi pezzi «che avrebbero potuto distruggere le stesse mura di Babilonia». Il Sultano ordinò di fornire ad Orban mezzi e maestranze per fondere l’artiglieria che intendeva usare per l’assedio di Costantinopoli.

Nella fonderia di Adrianopoli Orban impiegò tre mesi per fondere e assemblare un gigantesco cannone che fu poi trascinato fino a Costantinopoli da sessanta buoi. Si trattava di un bestione buono più per fare molto rumore, molto fumo, molta paura e relativamente poco danno. Difficili se non impossibili da trasportare e mettere in punteria, imprecisi ed imprevedibili, richiedevano giorni e giorni per raffreddarsi dopo ogni tiro. Così succedeva in tutta Europa ai supercannoni costruiti da ingegneri tedeschi fra il 1400 ed il 1450 ed oltre. Ciascuna di queste creature aveva un suo nome, oscuro e minaccioso: la Faule Mette, la Dulle Griet, il Mons Meg e il Pumhart von Steyr ancora esistono nei musei europei. Un buon numero sono esplosi con grave nocumento di chi li sparava. Lo stesso Orban fu ucciso quando il mostro da lui creato esplose durante l’assedio di Costantinopoli. Era il 1453, ma questo non bastò a convertire i regnanti Ottomani a più miti consigli.

Deciso a farla finita con la resistenza dei Cavalieri di Malta all’assedio del 1565, il comandante delle forze Ottomane Dragut Rais ordinò che l’immenso cannone venisse trascinato in cima ad un’altura dalla quale avrebbe potuto sparare direttamente dentro la cittadella. Al primo colpo il cannone collassò sui supporti mal sistemati e sparò direttamente nel campo ottomano, uccidendo Dragut ed un buon numero dei suoi. L’ultimo a crederci, in tempi moderni, fu Saddam Hussein: i supercannoni del Project Babylon – titolo di orbaniana memoria – opera dell’ingegnere canadese Gerard Bull (altro nomen omen: Bull significa «toro») avrebbero avuto una lunghezza di 154 metri, un calibro di un metro ed un peso di 2’100 tonnellate. Il progetto non andò a buon fine (!) in parte per l’uccisione del suo ideatore, probabilmente da parte del Mossad israeliano nel marzo del 1990. Il resto è storia.