Tradizione rispettata. Il primato nella categoria «i più ricchi del Paese», va sempre a loro, ai Kamprad, quelli dell’Ikea, con un patrimonio valutato 50-51 miliardi di franchi, in continua crescita. Responsabili di un’impresa di dimensioni mondiali, che occupa 208’000 persone, sono adesso Jonas, Mathias e Peter Kamprad, figli di Ingvar, il fondatore dell’azienda, morto lo scorso gennaio. E di cui seguono le orme, anche dal profilo privato, volutamente basso. A Epalinges, VD, dove risiedono, quando non sono in giro per affari, i tre invidiabili rampolli conducono una vita al riparo da esibizioni di lusso e stravaganze. Abitano in case modeste, si spostano in utilitaria, preferiscono vestire casual. Insomma, non dare nell’occhio. Come papà Ingvar, che aveva fatto notizia, appunto per le abitudini spartane, per non dire tirchieria. In proposito, gli aneddoti, veri o falsi, si sprecano. Del tipo scrivere su entrambe le facciate di ogni foglio, accendere la luce solo quand’è indispensabile, in albergo rifornire il minibar con bibite comprate al supermercato, volare low cost. Tutto ciò in nome del senso del risparmio, che ispirò una gestione aziendale accorta e redditizia. Nell’ambito personale, coincise con un’esigenza di modestia e riservatezza, che poteva sembrare una scelta d’ordine etico. Mentre era un bisogno di normalità: riuscire a passare inosservati.
Qualcosa che, poi, doveva far tendenza. Caratterizza, sempre più visibilmente, lo stile di vita dei multimilionari e dei miliardari in Svizzera, dove la discrezione è garantita. Appartiene alle prerogative di un paese che, per ragioni storiche, non ha conosciuto sfarzi principeschi e conseguenti cortigianerie. Si è, così, sviluppata una diffusa indifferenza nei confronti dei concittadini e degli ospiti più facoltosi. Si deve parlare di una sorta di tacito accordo che regola la convivenza fra ceti, distanti sul piano finanziario, ma in pratica vicini, nel vissuto collettivo di ogni giorno. In altre parole, esiste e funziona un rapporto d’interdipendenza fra noi e loro. Noi, che usufruiamo di strutture, che consumiamo merci e servizi, che assistiamo a spettacoli e loro, che, spesso, questi beni li progettano, producono, propongono.
Far emergere questa reciprocità è, evidentemente, l’obiettivo degli inviati di «Bilanz» che, ogni anno, esplorano il pianeta dei «300 più ricchi», a cui è dedicato il numero di dicembre, dall’allusiva copertina dorata. Non si tratta, sia chiaro, di interviste strappate o manipolate, bensì regolarmente concesse a giornalisti che non formulano giudizi morali e neppure intendono violare la privacy di personaggi famosi. Al servizio di un magazine di divulgazione economica, cercano di spiegare, sulla scorta delle testimonianze dei protagonisti, come sia sempre possibile far fortuna, per usare un termine che sottintende fatalismo. Al quale, invece, questi 300 nostri concittadini non si arrendono. Ora, come ci sono riusciti, tanto da salire ai vertici con patrimoni a più di 7 cifre? Da noi, la nascita conta: secondo uno studio UBS, il 56% dei più facoltosi ha ereditato un’azienda familiare. Ma, scorrendo quest’elenco di privilegiati, ci si rende conto della crescente importanza dell’idea vincente, vedi Swatch, Foxtown, dello spirito innovativo, vedi software per droni e accessori medici, della creatività da archistar, vedi Santiago Calatrava, del talento sportivo, vedi Roger Federer. E magari sorprende che persino il «chupa chups», invenzione forse non geniale, possa procurare miliardi alla famiglia Perfetti, residente nel Ticino.
Il nostro Cantone ospita 15 super ricchi, fra cui figure di rilievo nella realtà locale. Si pensi ai Mantegazza, promotori dell’hockey luganese, a Tito Tettamanti, impegnato nella finanza mondiale e in pari tempo vicino ai problemi politici locali. E, proprio loro, cresciuti in provincia, apprezzano appunto la normalità, almeno nelle abitudini quotidiane. Sta di fatto, però, che la pubblicazione di questi dati conferma un’anomalia di fondo: le disuguaglianze fra i ceti. Meno accentuata in Svizzera, rispetto agli USA, e figurarsi la Cina. Comunque, si è prestata a interpretazioni di segno opposto. Secondo i dati ufficiali, i ricchi, che diventano sempre più ricchi, non hanno reso i poveri, più poveri, le cui entrate anzi aumentano. Non è d’accordo Tamara Funicello, presidente di Juso (gioventù socialista) che denuncia addirittura «la dittatura dei super ricchi». Sarà, questione di punti di vista.