Sul triclinio in nome di Dante

/ 23.08.2021
di Bruno Gambarotta

La storia inizia da una telefonata: «Ti disturbo? Posso parlarti un attimo? Se è un brutto momento dimmelo, chiamo più tardi». «No, no, meglio ora. Stavo solo scrivendo. Dimmi tutto. Così un’altra volta imparo a non spegnere il cellulare». «Hai saputo di Dante?». «No, dimmi». «È morto settecento anni fa». «E hai interrotto quello che stavo facendo per darmi questa notizia?». «No, approfittando dell’evento, vogliamo dare una mano al nostro amico Giorgio, far conoscere il suo ristorante». «Sarò tardo ma continuo a non cogliere il nesso».

«Ascolta. Partendo da Dante organizzeremo una serie di cene dedicate ciascuna a uno dei vizi capitali. Ogni volta sarà al centro dell’evento un personaggio illustre, che con il suo stile di vita è in sintonia con il vizio celebrato in quella sera. Abbiamo pensato a te per la serata dedicata all’ozio». «All’ozio, io? Ma se sono un alcolizzato del lavoro, incapace di stare con le mani in mano anche solo per cinque minuti. Perché siete arrivati a me?». «Sai come si fa in questi casi, no? Si riempiono man mano le caselle vuote con i nomi. Tu eri il nostro jolly». «Jolly? In che senso?». «Tu saresti andato bene per tutti i vizi e stravizi. Tranne che per la lussuria, naturalmente». «Scusa, fammi capire. Perché per la lussuria non sarei andato bene?». «Beh, va bene ridere e scherzare, va bene il paradosso, ma insomma... un minimo di credibilità, di aderenza del personaggio al vizio ci vogliono». «Se è solo per quello ti posso dare un elenco di signore che potrebbero fornirti referenze ineccepibili». «Sì, certo, le tue famose performance fra la prima e la seconda guerra punica». «Cancelliamo la memoria storica! Poi non lamentiamoci se i giovani non hanno più valori!». «Ti guardi allo specchio? È più sexy un carrello del bollito misto».

«Bisogna andare all’estero per farsi apprezzare. Accantoniamo la lussuria. Ma perché proprio l’ozio?». «Te l’ho detto, man mano abbiamo riempito tutte le caselle. Alla fine rimaneva fuori solo l’ozio». «Che cosa dovrei fare di preciso?». «Niente, non devi fare proprio niente. Arrivi, ti siedi al tavolo e mangi. Tutto qui». «Devo solo mangiare, dici?». «Mangiare e bere, naturalmente. Servito come un re». (Un mese dopo). «Aspetta che ti apro la porta del ristorante. Tu non devi fare il minimo sforzo, ricordati che da questo momento sei l’ozio in persona. Il tuo posto è sopra la pedana».

«E quello cos’è?». «Non lo riconosci? È un triclinio romano, è così che la gente si immagina la posizione dell’ozioso mentre mangia». «E io dovrei mangiare stando sdraiato lì sopra? Con le trippe di fuori come un lucumone etrusco? Te lo scordi». «È prevista una tunica bianca della tua misura, bella abbondante. Se i patrizi romani mangiavano sdraiati a quel modo un motivo ci sarà pur stato!». «È già tanto se mi siedo a quel coso come un cristiano». «Non ti facevo così capriccioso. Sembri una rock star. Giorgio ci starà malissimo se non ti sdrai sopra il triclinio, gli è costato una bella cifra». «Ti rendi almeno conto di cosa mi state chiedendo?». «Fallo almeno per le foto! Due scatti e via! Poi ti vai a sedere comodo al tavolo». «Vada per le foto, aiutami a indossare la tunica».

«Buona sera, io sono il fotografo incaricato del servizio. Dovrebbe stare più disteso, con il tronco appoggiato mollemente sul fianco sinistro, la testa voltata verso l’alto». «Faccia svelto, non so per quanto tempo riuscirò a resistere in questa posizione». «Eppure gli antichi romani ci stavano per delle giornate intere». «Come fa a dirlo? Lei c’era?». «No, ma l’ho visto al cinema. E poi l’ha detto alla tivù il figlio di Piero Angela. Mi perdoni, ma l’espressione del viso non va». «Che cos’è che non va della mia faccia?». «Lei è uno che sta per fare l’ecografia con due litri di acqua nella vescica. Deve farmi la faccia dell’ozioso». «E com’è la faccia dell’ozioso?». «A me lo chiede? Io lavoro da quando avevo tredici anni».

«Provo a strizzare gli occhi. Così va bene?». «Accontentiamoci. Adesso per favore sollevi questo grappolo d’uva sopra la testa e provi a mangiarne qualche chicco da sotto, con aria voluttuosa». «Mi fa male la schiena». «Si vede che non ha fatto gli esercizi preparatori. Avanti su, ancora un piccolo sforzo e abbiamo finito, pensi di essere Richard Burton a pranzo da Cleopatra». «Scommetto che adesso mi chiederà di bere del vino da una coppa facendo correre due rigagnoli ai lati del mento». «Volevo farlo ma mi hanno spiegato che quello scatto è per la gola. Abbiamo finito». «Giorgio si scusa se non è ancora venuto a salutarti, in cucina hanno un problema. L’aiuto cuoco si è sentito male. Tu sei bravo in cucina, vero?». «Sì, me la cavo. Ma non penserai mica...». «Cosa ti costa? Invece di stare qui ad annoiarti tutta la sera! Tanto le foto le hai già fatte. Fermati! Dove stai andando? Vai già via?». «Vado a dare una mano in cucina». «Ricordati che ti devo intervistare per il nostro giornale su questa esperienza. Anzi, perché non la scrivi tu, in fondo sei un nostro collaboratore».